martedì 18 maggio 2010

CHIUSURA CAMPAGNA ELETTORALE


GIOVEDI' 20 MAGGIO • PALCOSCENICO area Ex CPN • ore 20.30

Elettori delle Primarie, Amici e Simpatizzanti, siamo alla fase conclusiva della campagna per le Elezioni di domenica 23 maggio! E per preparare al meglio la volata finale, ci ritroveremo ancora una volta per confrontarci sul futuro del nostro Comune. Il momento "istituzionale" sarà ancora più breve delle altre volte, per lasciare ampio spazio a colloqui informali tra Elettori e Candidati, sorseggiando vini (e non solo) e gustando prelibatezze locali. Insomma, un'occasione di rilassato incontro.
(E anche se proprio proprio non ce la farete a votare per noi, saremo comunque lieti di brindare in compagnia!)
Non mancate, vi aspettiamo!

99 commenti:

Anonimo ha detto...

Censura, cara censura. Chi cura il blog non permette a nessuno di esprimere la propria opinione a meno che non sia in accordo con i principi fondanti di questa lista.

Ma dai non è così, non può essere, semplicemente si è messa in atto la nuova impostazione del blog in vista della “volata finale”, perché devi vedere sempre e solo tutto nero? Chi si occupa del blog non vuole sinceramente censurare nessuno, poi sai benissimo che ogni settimana il blog si rinnova. Inoltre i tuoi temi non erano attinenti poiché sulla home page in alto a destra c’è scritto: “Blog di informazione curato dal Comitato Promotore della Lista Civica per Nus.” Quindi il blog è stato creato per informare i cittadini sul programma, sui candidati, sugli incontri, ecc.; mica per parlare di un sacco di cose che sono francamente incomprensibili. Non è sicuramente né il luogo né il momento, devi capire che i candidati si stanno semplicemente proponendo per risolvere i problemi del comune, non per interessi particolari, ma solo e unicamente per occuparsi del bene comune. C’è in te troppa malafede, ti dovresti rilassare e dire come fanno molti: chi se ne frega, l’importante è la salute. Inoltre non ti devi permettere di giudicare nessuno.

Forse hai ragione, però mi dispiace, perché Makhno iniziava ad essermi simpatico, anche se non sono in pieno accordo con la sua posizione.

Sai cosa potresti fare? Potresti ripubblicare ciò che hai scritto durante questo dieci giorni ed augurarti che Makhno abbia salvato ciò che ha prodotto e pubblicato.

Bene! Io ci provo, e poi stiamo a vedere.

Anonimo ha detto...

Riassunto delle puntate precedenti.

Primo episodio.

“Non pensate sia il solito ‘comizio’ ingessato e ‘condotto’ dal palco: se volete intervenire, davvero siete invitati a farlo, e nessuno troverà strano la presenza di chiunque...
Non perdete l'occasione!”
E la platea tace.
A fine comizio: "E ora la parola ai cittadini...".
Silenzio di tomba, imbarazzo latente e nessuno interviene.
In fin dei conti, il buon "borghese" non deve esporsi, perché poi la gente parla, al massimo se ci si espone è per una lode, non certo per una critica; inoltre la critica deve essere costruttiva in perfetto stile “piccolo borghese”. Al contrario bisognerebbe distruggere queste procedure democratiche e mandare a casa una volta per sempre i nostri (vostri) cari (cari$$imi) rappresentanti.

La logica del potere: la democrazia.

Nella logica democratica del giusnaturalismo moderno (Hobbes e Rousseau) è la volontà del popolo (gli elettori) a legittimare la manifestazione del potere. La volontà generale è il risultato di un insieme di procedure: gli elettori scelgono i loro rappresentanti, cioè autorizzano i candidati a rappresentarli. In questo modo gli elettori legittimano il passaggio della loro sovranità al parlamento statale, all’amministrazione regionale e comunale: si autorizza il parlamento, e le due amministrazioni ad esprimere la volontà del popolo; il parlamento, e le due amministrazioni diventano il sovrano. Se l’agire politico del cittadino si esprime mediante il voto, nel voto (come nel processo di autorizzazione descritto nel Leviatano) il cittadino esprime un nome (cioè indica colui che è autorizzato assieme agli altri rappresentanti ad esprimere la volontà del popolo). L’espressione di volontà politica è in realtà un processo di autorizzazione, di costituzione dell’autorità. Questa forma di costituzione del potere è stata definita democrazia indiretta, in essa non può non crearsi una distanza tra i cittadini e quell’agire politico che si ha a livello della rappresentanza.
Questa forma di democrazia opprime ed esclude certe passioni e aspirazioni del cittadino; si è infatti creata una separazione tra i fatti e le idee che tendono a rifletterli, così come tra le forze sociali e la loro espressione politico-istituzionale. Bisogna allora rovesciare e rivoluzionare la gerarchia, in modo che ciò che è oppresso all’interno del cittadino ritrovi la propria voce e prenda la parola, dopo essere stato quasi sempre messo a tacere.
Lo Stato così come si è costituito nel suo insieme, ha tentato e tenta nel suo scopo irremissibile, di inglobare la società sostituendosi ad essa.
Jean-Jacques Rousseau ha scritto: « Trovate una forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza della comunità la persona e i beni di ciascun socio, e per la quale ognuno, unendosi a tutti, non obbedisca, pertanto che a se stesso e resti libero come prima ».

Anonimo ha detto...

Occorre ridare la parola a ciò che nella sfera affettiva è stato emarginato e rimosso dalla società contemporanea. La società occidentale d’oggi è l’insieme di relazioni sociali in cui domina la volontà individuale e i cui membri sono fortemente individualizzati. L’aiuto reciproco tra i membri della società si realizza solamente in termini contrattuali (ciò che Rousseau definisce come il contratto sociale), secondo un modello meccanico, con un legame sociale determinato da un ordinamento esterno all’uomo, razionalistico più che affettivo, che quindi può anche non appartenergli. I rapporti inter-individuali sono prevalentemente indiretti e superficiali, non coinvolgono la totalità della vita e tutta la personalità dei soggetti, ma si limitano allo scambio di merci e di servizi. Allora, immancabilmente, i cittadini e le comunità si cancellano a profitto dei conglomerati, e lo Stato (società politica) si sostituisce alla società civile.
Bisogna dunque rifiutare assolutamente le manifestazioni istituzionali, ideologiche e politiche (cioè i grandi partiti politici, così come quelli piccoli che hanno comunque un ruolo a livello “nazionale” “regionale” e “comunale”) che si presentano come personificazioni di grandi comunità umane, poiché sono forme che portano al totalitarismo. È il caso delle divisioni territoriali in stati-nazione, delle divisioni ideologiche ad esempio tra destra, centro e sinistra, in cui molti si identificano e delle cui vittorie godono vicariamente, abbandonandosi alla loro potenza con fiducia ed entusiasmo.
A livello strutturale, si tratta di tornare all’imperativo della ridisposizione, su base devolutiva (non ovviamente alla Bossi e alla Miglio) dei poteri, permettendo la costruzione dal basso di una molteplicità di livelli comunitari. Ogni individuo, infatti, appartiene non solamente ad una sola comunità in termini territoriali, ma ad una gerarchia complessa di comunità inserite l’una nell’altra: comunità di lavoro, di ricreazione, comunità religiose, ecc.
Così occorre sostituire la democrazia indiretta, che ha valenze prettamente simboliche al fine del bene comune, con un’organizzazione multidimensionale aperta, la quale permetta la formazione progressiva di cerchi concentrici e di piani sovrapposti. Il progresso sociale va, in questo senso, nella direzione di un governo sempre più rarefatto, in altre parole, tendente alla massima decentralizzazione dei poteri di governo.
Occorre attenuare decisamente il peso dello Stato e della società, al fine di realizzare completamente il cittadino. Nel caso in cui quest’ultimo ne abbia bisogno, occorrono delle istituzioni completamente rivoluzionate che hanno lo scopo di essere all’esclusivo servizio del cittadino che le invoca. Lo Stato e i vari poteri intermedi non possono essere soppressi (come vogliono gli anarchici): ciò che deve essere soppresso è l’esclusivo centralismo dello Stato ed una forte limitazione dei poteri intermedi.
La forma per antonomasia di incivilimento è quella che offre alle istituzioni il minor numero di pretesti per intervenire, poiché è in grado di trovare autonomamente la soluzione per le proprie faccende.

Se qualcuno (compreso Makhno, soprattutto ora) fosse interessato ad una proposta per nuova visione del mondo (non solo politica), può scrivere a questo indirizzo antoniominimo@libero.it
R. A.

Anonimo ha detto...

Secondo episodio.

Gentile Makhno, ovviamente il mio discorso non si può esaurire in duemila battute sulla tastiera del computer. Concordo con lei per il fatto che vi sia stata qualche novità nella presentazione di questa lista, ad esempio le elezioni primarie che danno la possibilità al votante (minorenni a parte) di candidare se stesso o altri concittadini alle varie cariche (per una volta la lista non è stata "calata" dall'alto), certo è che il passo non è breve dall'associare questo tentativo "nuovo" (mah!) di fare politica alla mia brevissima introduzione di un discorso che svaria dai nuovi aspetti societari, all'economia, senza dimenticare un discorso che riguarda un nuovo modo di concepire tutti i rapporti che coinvolgono la persona e, nel caso della politica, il cittadino.
La invito a contattarmi per avere una visione più ampia di ciò che è stato introdotto con troppe poche parole.
Ho riletto attentamente ciò che ho scritto nel secondo commento rendendomi conto di aver dimenticato una parola nella penultima frase.
La frase corretta è la seguente: "Lo Stato e i vari poteri intermedi non possono essere soppressi (come vogliono gli anarchici): ciò che deve essere soppresso è l’esclusivo centralismo dello Stato ed OCCORRE una forte limitazione dei poteri intermedi".
Chiedo scusa ai lettori attenti.

R. A.

Anonimo ha detto...

Terzo episodio.
Gentile Makhno, c’è molta gente che crede all’idea che l’Occidente sia stato fortunato nell’incrociare la cultura greca. Concorderà con me quando affermo che siamo debitori nei confronti di quelle persone che hanno fondato il nostro modo di pensare. Sinceramente però, io non credo che non sia stata una fortuna, ovviamente non mi voglio contraddire, desidero solo mettere in evidenza alcuni aspetti che le hanno fatto scrivere nell’ultimo suo commento “ma che la lista civica rappresenti un tentativo di andare nella direzione da lei auspicata è un dato di fatto”. Questa è la sua opinione, io penso al contrario ad un serio ridimensionamento della politica: oggi la politica detiene il primato (in perfetto stile greco), mentre io darei il primato alla persona (che non è il cittadino, poiché questo termine prelude al solo aspetto politico della persona). Non è un caso che nell’antichità greca, benché ci fosse uno spettro di democrazia, il cittadino fosse chiamato a sacrificarsi per la polis, la città era tutto e cittadino un nulla (si veda ad esempio il caso di Socrate).
Dal mio punto di vista oggi il primato dovrebbe essere assegnato agli aspetti che determinano la persona (non certo alla politica), in primo luogo i rapporti sociali, poi gli aspetti economici, mentre la politica dovrebbe servire da surrogato, cioè li potrebbe regolare (quando necessario).
Posso proporre un esempio per farmi capire: per quale motivo l’eccezione conferma la regola? Poiché se tutti seguissero le regole, queste ultime potrebbero anche virtualmente non esistere. La regola si autoripropone quando essa viene violata. Esempio pratico: se al lavoro si timbra alle otto di mattina, la consuetudine alla puntualità cancella potenzialmente la regola, mentre quando la si infrange, ci si ricorda che la regola c’è. Lo stesso dicasi per la politica. Quando tutto funziona non c’è bisogno di nessuna politica, quando qualcosa non va la politica compensa (surroga). La politica, per fare un discorso decisamente basso, è come una supposta, la si infila solo quando si sta male.
Non voglio dimenticare la sua citazione della banca del tempo: ottima iniziativa, ho già dato la mia disponibilità ai due probabili organizzatori; ma non è questo il punto. Per quanto riguarda l’incentivazione dei rapporti interindividuali (sul piano prettamente sociale) proposti dai candidati della lista, per dare una cifra (anche se non sono un matematico) di quanto ho sentito durante i primi due comizi, potrei sbilanciarmi fino ad un massimo del 5% rispetto a quello che ho in mente. Dunque manca ancora circa il 95% di ciò che mi aspetto dalle proposte dei candidati, e certo non è poco.
Dicendo ciò mi contraddico parzialmente, poiché a parlare, a proporre e a fare dovrebbero essere i cittadini, si è detto in precedenza che la politica la si invoca unicamente quando qualcosa non funziona, oggi al contrario è dalla politica che viene "emanata" l'essenza (!?) del saper vivere: durante i comizi c'è sempre qualche candidato che dice "noi siamo qui per ascoltarvi e per portare avanti le vostre esigenze o istanze". Quindi il compito dell'amministratore, secondo la logica corrente, è quello di essecondare le richieste dei cittadini, a questo punto la supposta viene infilata per puro piacere non per necessità; e il rimedio precede il male.

R. A.

Anonimo ha detto...

Quarto episodio.

Ha esattamente colto nel segno: come cambiare il sistema per realizzare un mondo nuovo. Prima di risponderle però, vorrei fare un passo indietro. Lei mi fa giustamente notare che vi sono due possibilità: rivoluzione o cambiamento graduale. Escludo a priori la seconda: tutti (o quasi) sono consapevoli che da tempo è iniziato il conto alla rovescia per la fine della vita umana su questo pianeta, non c’è più tempo da perdere. Rimane solo la rivoluzione non necessariamente per azzerare il sistema (non è tutto negativo).
Innanzitutto occorre chiarire (non mi sto rivolgendo ovviamente a lei visto il suo nickname) che cosa intendo per rivoluzione. La rivoluzione non è sinonimo di sollevazione armata di sovversione sanguinosa o di colpo di Stato, ma la rivoluzione è un cambiamento d’atteggiamento, un cambiamento di prospettiva e un cambiamento di piano. Proudhon affermava “non c’è una vera azione senza idea”. Non c’è e non c’è mai stata una rivoluzione vera senza una idea. Occorre dunque una rivoluzione delle idee, poiché non si può fare senza pensare, visto che la si darebbe vinta all’entropia sociale (così in voga oggi), e neppure pensare senza fare giacché si farebbe la fine di Kant (l’intelligente senza mani) oppure ci si perderebbe in un idealismo insensato. È quindi naturale che la rivoluzione sarà ‘teorica’ e ‘pratica’, temporale ma anche spirituale. È fondamentale dare vita ad un nuovo ordine di valori in campo sociale, economico e politico, senza dimenticare il piano che riguarda la saggezza.
Come affermava Nikolaj Lenin senza una sana dottrina nessuna rivoluzione, se « i tumulti, rivolte,
insurrezioni, sommosse, ribellioni, guerre civili, colpi di Stato, prese di potere non hanno bisogno di una dottrina, ecco, la rivoluzione non può privarsene”.
Occorre informare, istruire, formare ed essere creativi.
Certo non bisogna costringere gli uomini ad essere liberi, come volevano i giacobini e prima di loro il già pluricitato Rousseau; sono gli uomini stessi che devono divenire coscienti di questa necessità e decidersi a scontrarsi e a dar battaglia per conquistare la loro libertà. Riprendendo Arnold Toynbee, questa è la « sfida che la storia ci lancia ».
Risulta chiaro che non si tratta di una sfida qualsiasi, ma della “Sfida” alla quale dobbiamo rispondere, pena lo sparire come tante civiltà.
A questo punto mi viene in mente una battuta del Dalai Lama, un giorno un giornalista gli chiese: che cosa ne persa della civiltà occidentale? La sua risposta: sarebbe una bella idea!
Battute a parte Lewis Mumford diceva: “Dobbiamo riscrivere la partitura eseguendola, cambiare il direttore d’orchestra e raggruppare i musicisti, nel momento stesso in cui stiamo rifondendo i passaggi più importanti della musica suonata. È forse impossibile?… Nulla è impossibile”. Sarebbe firmare un atto di dimissione rinunciare a cercare d’eseguire il pezzo musicale finché tutte le modifiche necessarie
non siano state portate a buon fine, voler attendere, per agire, che siano riuniti tutti gli elementi d’una soluzione ideale: la sola cosa di cui si può essere sicuri, è che non lo saranno mai.
Sta a noi forzare il destino adempiendo il nostro dovere hic et nunc, malgrado gli ostacoli che sbarrano il cammino di salvezza.
Occorre seguire la profezia consigliata da Kierkegaard: “Bisogna anticipare con l’angoscia il nostro destino… l’angoscia corrode ogni cosa […] e svela ogni illusione; essa estirpa ciò che c’è in noi di mediocre”.
Il discorso sarebbe ancora lungo, ma lo spazio del blog mi impone di passare al secondo punto per evitare eventuali fraintendimenti.
Lei parla di un rapporto politica-persona, ma è appunto lei a farlo. Io ho sempre parlato del rapporto tra cittadino e politica mai di rapporto tra politica e persona. Politica e cittadino si pongono sullo stesso piano, mentre la persona (così come la intendo io) è su un piano incommensurabilmente più alto (la invito nuovamente a contattarmi, così le spiegherò il perché).

R. A

Anonimo ha detto...

Di nuovo! Gli stessi interventi! Ma non c'è qualcuno che mette un po' di ordine? Grazie
Un affezionato lettore

Anonimo ha detto...

Dai Pier metti un po' di ordine. Non se ne può più di queste opinioni che turbano la quiete pubblica.

Anonimo ha detto...

Ehi, piffero ironizzante, non so chi tu sia, ma sto seguendo una discussione per me interessante e d'un tratto trovo gli stessi commenti postati in tre differenti pagine. Non so più dove leggere...
Lo stesso affezionato lettore di prima

Anonimo ha detto...

Gentile Makhno, alcuni candidati della lista concorrente non sono riusciti a rintracciare sul blog i commenti archiviati, mi è dunque sembrato il momento di ripubblicare in prima pagina i miei interventi e, francamente, non me la sono sentita di ripubblicare anche i suoi, non mi posso assumere questa responsabilità. Per quanto riguarda lo "sproloquio" iniziale è solamente uno stratagemma per tenere viva l'attenzione dei lettori, il mondo dell'informazione è purtroppo infarcito di sensazionalismo. Alcuni lettori, forse troppi, sono interessati solo a ciò che fa scandalo (anche se non c'è quasi nulla di scandalso in quello che ho scritto). Io proseguirei il dialogo sulla prima pagina, mentre i lettori più attenti e interessati potranno ritracciare tutti i commenti cliccando a fondo pagina su: post più vecchi.
Ora la devo salutare, purtroppo ho altro da fare.

R. A.

Anonimo ha detto...

Eh no, caro R.A., questa volta sono in totale disaccordo con lei. E per molti motivi. Se il lettore è interessato, sa dove leggere; la sua ripubblicazione dei commenti mi pare che nasconda una velata voglia di protagonismo che non mi piace. Trovo poi lo stratagemma dello sproloquio, di carattere vagamente "berlusconiano", assolutamente fuori luogo. Può bene immaginare cosa io pensi di Berlusconi, del suo sensazionalismo politico e del condizionamento mediatico che giornalmente ci colpisce. Mi fa specie che anche lei sia caduto nella trappola. Apparenza e non sstanza, forma e non contenuto.
Non m l'aspettavo da un cultore di Rousseau, Proudhon, Kant e del Dalai Lama. E per quel che so, nel blog la censura è inesistente.
Inoltre lei, mi preme sottolinearlo, è ancora una volta in contraddizione con sé stesso, visto che da un lato usa il sensazionalismo e dall'altro dice che "purtroppo" esiste, da un lato sostiene che tanti, troppi, sono interessati solo a ciò che fa scandalo e dall'altro afferma che ciò che ha scritto non è scandaloso.
Mi riesce difficile capirla.
Poiché l'ultima delle mie preoccupazioni è di apparire, sto meditando, con rammarico, di abbandonare la discussione che mi pareva potenzialmente costruttiva.
Per me non è sufficiente che lei sia un interlocutore informato e preparato, dovrebbe essere soprattutto attendibile.
Makhno

Anonimo ha detto...

Gentile Makhno, non posso proprio nasconderle nulla, mi coglie sempre con le mani nel barattolo della nutella. Non so se a questo punto io debba indossare la toga dell’avvocato e preparare la mia arringa difensiva oppure dedicarmi al tema (che riguarda una nuova visione del mondo) che oramai è stato occultato nella sua ultima comunicazione, anche e soprattutto per colpa mia. Per fare un “po’ di ordine”, come dice un affezionato lettore, posso fare entrambe le cose. Oggi, purtroppo, mi dedicherò solo al primo punto (ho poco tempo, poi alle 20.30 c’è il comizio, che è molto meglio del teatro). Propongo dunque una sottile arringa difensiva. Ora, si tratta di capire se devo difendere il mio ‘essere’ “con quella voglia di protagonismo che […] [a lei] non piace” oppure difendere i contenuti frivoli del penultimo mio scritto e i commenti del mio ultimo intervento. Partirei dai primo punto. In effetti il lettore interessato “sa dove leggere” a meno che non sia alle prime armi con i blog (come le ho già detto, ho avuto modo di parlare di questo blog con alcune persone e, quasi tutte, mi hanno detto, dopo averle rincontrate, che non hanno trovato i commenti). So di essere stato un po’ (molti diranno troppo) invadente, ma la mia intenzione era di facilitare questi probabili lettori. E fin qui ho parlato del produttore, adesso mi dedico al prodotto. Quando ho scritto il dialogo, ho pensato ad un po’ di ‘leggerezza’ visti i tremendi mattoni proposti precedentemente, quindi il suo giudizio, quando è riferito al metodo di esposizione, al metodo di coinvolgimento ed ai contenuti, non mi tocca (e sicuramente non c’è bisogno di scomodare il “nano”). Ora lei potrebbe eventualmente obiettare dicendo: lei ha parlato di censura ed ha messo in discussione la buonafede dei candidati e di chi si occupa dell’organizzazione del blog. Io potrei rispondere dicendo: il tono del dialogo era decisamente ironico e satirico, lo si poteva intuire. Lei potrebbe controbattere dicendo: e la “trappola” nella quale è caduto? Io potrei rispondere quale trappola? Lei potrebbe asserire ancora “da un lato usa il sensazionalismo e dall'altro dice che ‘purtroppo’ esiste” e la cosa peggiore è che ne fa uso.” A questo punto sembrerebbe proprio che l’acqua calda sia stata riscoperta; tra le poche, pochissime cose che si ricordano di Machiavelli vi è ovviamente la sua frase più famosa: il fine giustifica… Nel mio caso se avessi abusato di questo modo di fare, lei avrebbe tutte le ragioni per rimproverarmi, ma se il fine è quello di attirare l’attenzione di qualche possibile lettore, in questo caso e solo in questo unico caso, l’atto (consapevole) giustifica il sacrificio. E ancora non ho mai affermato, come lei sostiene, il seguente passo “ciò che ha scritto non è scandaloso” (usando ovviamente un’altra espressione); ho asserito: “non c'è quasi nulla di scandaloso in quello che ho scritto” (a dire il vero ho scritto scandalso, compiendo un errore di battitura). Io focalizzerei l’attenzione sul “quasi nulla”, che sottintende ovviamente qualcosa, altrimenti avrei scritto semplicemente “nulla”. Quindi non vedo alcuna contraddizione o, al massimo, una velatissima contraddizione che dipende dal grado di sensibilità del lettore.

Anonimo ha detto...

Dal mio punto di vista vi è una contraddizione un po’ più rilevante nel suo passo che recita: “Per me non è sufficiente che lei sia un interlocutore informato e preparato, dovrebbe essere soprattutto attendibile”. Il punto è: informato e preparato lo è il produttore (cioè io), mentre l’attendibilità riguarda (secondo la sua posizione) sempre il produttore ma come riflesso di ciò che ha scritto. In altre parole il prodotto rimanda sempre all’attendibilità del produttore. Per puntualizzare, attendibile vuol dire anche credibile, affidabile, degno di fede; in gioco non ci posso essere io ma ciò che scrivo, ecco la contraddizione. In effetti devo riconoscere che la colpa è anche in parte mia, mi son fatto prendere un po’ la mano, avrei dovuto da principio separare i due temi: in primis la nuova visione del mondo (che, fino a prova contraria, è attendibile) da ciò che posso eventualmente farfugliare quando parlo di campagna elettore, di elezioni, ecc.
Ciò che parzialmente mi fa pensare è una sua affermazione: “è ANCORA UNA VOLTA in contraddizione con sé stesso”. Già nel suo intervento del 15 maggio aveva scritto: “In merito poi al rapporto politica-persona mi astengo dal commentare perché, come lei stesso ammette, è in contraddizione con sé stesso. Contraddizione per lei parziale, per me totale.” Io le ho risposto: “Lei parla di un rapporto politica-persona, ma è appunto lei a farlo. Io ho sempre parlato del rapporto tra cittadino e politica mai di rapporto tra politica e persona. Politica e cittadino si pongono sullo stesso piano, mentre la persona (così come la intendo io) è su un piano incommensurabilmente più alto”. Quindi in questo discorso non vi è nessuna contraddizione, mentre l’espressione “ancora una volta” è del tutto gratuita.
La saluto cordialmente e spero di risentirla presto.

R. A.

Dimenticavo Pier, vorrei ricordargli che un possibile “suggerimento […] [e lo] straccio di soluzione o proposta” gli sono stati recapitati tramite posta elettronica quattro o cinque anni or sono. Ma "chi scrive troppo non ha tempo per la lettura" (David Gilmour).

Anonimo ha detto...

mancano due parole, A. R. ha scritto: in primis la nuova visione del mondo (che, fino a prova contraria, è attendibile) VA SEPARATA da ciò che posso eventualmente farfugliare quando parlo di campagna elettore, di elezioni, ecc.
VA SEPARATA è una mia aggiunta.
Ciao a tutti e votate la lista n. 3.

Anonimo ha detto...

Non risponderò al suo esercizio di retorica con un altro esercizio di retorica. Non sono avvezzo ai sofismi. Al posto suo, però, avrei preferito cominciare dal secondo punto, la nuova visione del mondo, perchè suppongo che gli ormai pochi lettori lo ritengano l'argomento di maggiore interesse. Invece lei ha preferito prevedere domande e risposte, deduzioni e controdeduzioni che non farò mai. E sa perché? Perché, ancora una volta, stiamo cadendo in quei "momenti di irrefrenabile verbosità fine a sé stessi e autocelebranti" dei quali ho parlato in un mio commento precedente in altra parte del blog (ha visto cosa ha combinato con la ripubblicazione?) e che non interessano nessuno.
Ha ragione Piermauro Reboulaz (il candidato?)quando sostiene che non ha letto uno straccio di proposta o di soluzione. Probabilmente lei, cultore della sofistica o, per meglio dire, della neosofistica, è più interessato all'elaborazione di complesse frasi di autodifesa, i sofismi, appunto, che ad illustrare ai pochi lettori le sue idee sulla società. Le consiglio di correggere il tiro, se davvero vuole sollecitare e solleticare le coscienze.
Un ultima breve considerazione in merito al punto 4 del post di Piermauro Reboulaz (il candidato?): dire che uno studente di psicologia andrebbe a nozze analizzando i "commenti" che si susseguono a ruota è perlomeno irriguardoso nei confronti di chi cerca, comunque, di dare vitalità ad un blog che, se escludiamo R.A. ed il sottoscritto, in quanto a partecipazione non brilla per vivacità.
Makhno

Anonimo ha detto...

Gentile Makhno, partirei dal suo commento del 18 maggio. Sicuramente le modalità della formazione della lista sono un passo avanti nel rapporto tra cittadino e politica e, fortunatamente, qualcuno le ha attuate anche a Nus. Le elezioni primarie sono state create per rompere la logica dei partiti. All’inizio del Novecento (nel periodo Rooseveltiano) alcuni americani decisero di mettere in campo questa nuova procedura democratica. Dopo il breve excursus storico torniamo al caso di Nus: rimane qualche dubbio sull’autoproposta dei candidati. Ieri sera ho avuto modo di parlare con un candidato della prima lista, il tema riguardava questo nuovo modo di procedere. Ovviamente c’era e non ci poteva non essere qualche perplessità. Vediamo in primo luogo gli aspetti positivi delle primarie di Nus. Come già detto in precedenza, per una volta la lista non è stata “calata” dall’alto. Il cittadino ha potuto scegliere chi candidare. Vi è però, credo, una anomalia in queste elezioni: le primarie “crude” prevedono una lista ‘vuota’, dopo le elezioni la lista può dirsi pronta e si è generata automaticamente. A Nus, prima delle elezioni, la lista era ‘semivuota’ (c’erano alcuni nomi già segnalati di possibili candidati che si erano messi a disposizione). Qualcuno potrebbe dire: qual è il problema? C’è una comunione di intenti, il programma è condiviso, quindi? Cosa rispondere! Un tentativo potrebbe essere: il cittadino viene comunque “condizionato”, sono dell’idea che se i nomi indicati fossero stati altri, questi altri sarebbero stati eletti. Quindi non si tratta più, come vuole la scienza politica (anche se la politica può essere tutto meno che scienza come afferma Croce), della scelta dei migliori ma di qualcos’altro che mi sfugge. Molto probabilmente i risultati migliori possono essere (come molti sostengono) il frutto di una sintonia tra i componenti del gruppo. Francamente non so che cosa pensare.
Cambiando argomento sono perfettamente d’accordo con lei quando parla di “fase involutiva” riferendosi al “mondo delle idee”. [Ciò che segue è una nota a piè di pagina] Attenzione però a associare l’involuzione al cosiddetto Medioevo, vi è in atto a livello accademico una forte, direi fortissima rivalutazione del Medioevo soprattutto da parte di Giovanni Tabacco (benché ci abbia lasciati), lo storico parla infatti di una “età della sperimentazione”, ossia della ricerca, in tutti i campi e in tutte le direzioni, di molte soluzioni possibili ai problemi dell’esistenza e della convivenza civile. Massimo Montanari lo definisce il “grande laboratorio delle idee”.
Devo per forza fermarmi qui perché alle ore 19.00 c’è il rinfresco offerto dalla lista n. 2.

Saluto cordialmente Makhno anche se continua a bacchettarmi.

R. A.

Anonimo ha detto...

Non mi sono espresso con chiarezza: considero anch'io il Medio Evo la fucina di idee che ha generato l'Umanesimo rinascimentale (dovevo aggiungere "cosiddetti" a "secoli bui" perché non li reputo tali).
Condivido, le parrà strano, anche l'analisi sulla formazione della lista: la presenza di pre-candidature è un condizionamento dell'elettore. Credo, però, che l'elezione primaria sia una novità già di per sé difficilmente comprensibile al cittadino - mi stupisco, infatti, del successo - e l'ipotesi di una lista "bianca", seppur condivisibile, avrebbe ulteriormente complicato la proposta. Le modalità sono perfettibili; spero che i promotori ne tengano conto per le elezioni del 2015.
Qui mi fermo. Come dicevo il dialogo a due è riduttivo e vedo il pericolo del quale ho già detto.
Ringrazio tutti per l'ospitalità con l'impegno che, se il blog sopravviverà alle elezioni e sarà più partecipato, mi rifarò vivo.
Auguro a tutti un buon successo.
Makhno

Anonimo ha detto...

Oggi, giorno di mutismo, mi limiterò ai ringraziamenti. In primo luogo ringrazio gli organizzatori del blog che, per la prima volta a Nus, hanno dato la possibilità a chi è collegato alla rete di poter chiacchierare o proporre qualcosa di interessante. Vorrei ringraziare Markno che è stato un eccellente interlocutore. Mi associo a lui nell’augurarmi che il blog non venga oscurato dopo le elezioni anche se non credo che questo avverrà. Vorrei inoltre tranquillizzare quanti si aspettavano da me “uno straccio di proposta”, una possibile alternativa (ciò che ho sempre chiamato una nuova visione del mondo) è, e qui posso dire di essere stato particolarmente fortunato, in mio possesso. Questa alternativa ovviamente è ancora tutta da valutare e sarò lieto di presentarvela un po’ alla volta ad elezioni terminate.

R. A.

Anonimo ha detto...

Da dove iniziare se non dalla conclusione.

Conclusione

Il senso della storia.

La nostra società è vittima di un sistema di condizionamenti senza precedenti, che provoca una forma di smarrimento e un senso di frustrazione. Si vive oggi in un contesto decisamente più vasto rispetto a quello che si poteva ritrovare, un tempo, almeno in Occidente, ad esempio in un villaggio o in ogni caso in una comunità in cui era rintracciabile una peculiare tradizione che si rivelava compatta. Non si riesce più, in questo modo, attualmente, a trovare una dimensione esistenziale attraverso le fratture che si sono venute a creare nel tessuto sociale.
L’esistenza umana sembra non avere senso se non è inserita in un senso globale della storia. Tale senso sembra oggi essere andato perduto, e così anche il senso dell’esistenza segue la stessa strada. La storia senza senso porta con sé l’impossibilità di riscatto del negativo: senza significato unitario, infatti, non ci può essere redenzione. Senza la presa di coscienza, vale a dire, senza quel punto fisso che permette la redenzione, ciò che accade non è più a disposizione dell’uomo.
In reazione a questo stato di cose, si sviluppano tre tipi d’atteggiamenti:
Si può distinguere nell’atteggiamento di tutti quelli –e sono tanti!– che si ‘accontentano di vivere’, che non si pongono problemi, che non s’interrogano sulla natura delle cose, come un’immagine o, meglio, un presentimento di questo trionfo dell’uomo sulla ‘temporalità’. Immagine ingannevole, tuttavia. In quanto l’atteggiamento comune implica una rinuncia. L’uomo ‘quotidiano’ sembra aver vinto il tempo; ma in realtà ha rinunciato, una volta per tutte, a lottare contro di lui. La ‘cattiva temporalità’ ha definitivamente preso possesso della sua vita, essa ha sommerso tutto. Il conflitto è stato risolto, ma con la resa, seguita da una sottomissione completa.
Il secondo atteggiamento si sviluppa in una forma di de-sincronizzazione rispetto alla storia, che consiste nel sottrarsi alla globalità degli eventi, rifiutando di diventare un accessorio insignificante dell’insieme. Si favorisce così una vita individuale che pone al suo centro l’individualità insolubile, e si stacca nettamente dalla storia complessiva. La storia diventa in questo modo una sorta di giustapposizione di singole realtà. Su questo piano sarebbe utile riconsiderare l’espressione di William Shakespeare, che riferendosi a questo atteggiamento, ha parlato di « una storia raccontata da un idiota ». Dicendo ciò Shakespeare molto probabilmente ha voluto porre l’accento sul significato greco del termine « idiota »: « idiota » è colui che tiene conto solo della sua individualità, cioè chi non ha una sua dimensione pubblica.
Il terzo atteggiamento consiste nell’unirsi in modo sincronico con il proprio tempo, partecipandovi attivamente, con l’obiettivo di arricchire il significato della propria vita individuale attraverso le relazioni interpersonali, in una continua ricerca di dialogo.

Anonimo ha detto...

La persona e solo essa può riconquistare il senso umano della vita: ma una volta raggiunta la persona, persino semplicemente intravista, –detto altrimenti, una volta stabilito un contatto con il concreto–, una rivoluzione radicale s’impone: impone di riprendere tutto a partire da lì. Si può, per così dire, ‘raggiungere’ la persona, accostarla, intravederla, ma non investirla per invaderla finalmente come una fortezza assediata. No, la persona in quanto tale sfugge ogni tentativo di manomissione, ad ogni invasione. Se si desidera far la sua conoscenza, bisogna cambiare atteggiamento, rinunciare alle abilità, manovre, raggiri, rovesciare la prospettiva, il cui senso e la portata possono essere espressi […] nella seguente maniera:
1. Se non si parte dalla persona, non si parte dal tutto;
2. Se non si parte subito dalla persona non si partirà mai.
La storia non è una via a senso unico. Essa non è, qualsiasi cosa ne dicano i marxisti, un’insieme di fatalità contro le quali non si può nulla. Il corso della storia non è né totalmente rappresentabile né totalmente imprevedibile; l’uomo è chiamato non a contemplare il mondo ma a trasformarlo: l’avvenire è affare nostro e il nuovo sistema è il destino dell’uomo a-venire.
Il nuovo sistema è in definitiva l’unica possibilità positiva di un rapporto con il senso, ponendosi come norma fondata sulla libertà per regolare il comportamento, per fare in modo che l’uomo non sia un automa, un burattino regolato da situazioni troppo distanti che non è in grado di dominare.
Solo l’azione umana inscritta nel corso degli eventi darà la possibilità di dare una risposta a questo dubbio.

A. M.

Anonimo ha detto...

C'è chi dice che Makhno sia fuggito in Ucraina!

Anonimo ha detto...

No, non sono fuggito. Lì, purtroppo, c'è poco da fare. Preferisco seguire le evoluzioni della politica valdostana che, in quanto a bolscevismo, non ha nulla da invidiare alla vecchia Unione Sovietica.
Avete fatto un gran lavoro e leggo con piacere che la sconfitta elettorale non ha scalfito l'entusiasmo. Continuate così.
Non posso che condividere l'analisi di A.M. (tra l'altro, il fatto che citi Shakespeare mi fa sospettare una certa vicinanza con R.A.); da sempre sostengo che la "persona" ha la supremazia sulla storia, deve tracciarla e non subirla. Come, in parte, avete fatto voi. Nel vostro piccolo, avete contribuito a scrivere un momento di storia valdostana che, siatene certi, non verrà dimenticata e servirà da esempio per molti. Qualcuno mi ha già parlato di un interesse da parte di cittadini di altri comuni valdostani che vogliono seguire il vostro esempio.
Continuate con convinzione che il solco è tracciato (sono un contadino...).
Makhno

Anonimo ha detto...

LA CRISI.

Il questa elaborazione teorica si adotterà un metodo sincronico (sociologico) e un metodo diacronico (storico). Il metodo sincronico, che tende in linea di principio ad escludere ogni visione temporale, mette in questione dei sistemi a grandi linee delimitati e caratterizzati da evoluzioni trascurabili. Il metodo sincronico esamina dunque le strutture che tendono all’immutabilità, analizzandole.
Mentre il metodo diacronico prende in considerazione i sistemi che tendono ad evolversi, ricavandone descrizioni, analisi e teorie dei fenomeni che caratterizzano la trasformazione.
Per elaborare la teoria della « Crisi » non bisogna giustappone i due procedimenti metodologici, ma dialetticamente metterli in rapporto. Un’analisi che si fonda esclusivamente sulla sincronia può costruire indubbiamente un modello esplicativo accettabile, ma ciò di cui implicitamente quest’analisi difetta è di una profondità storica. [QUELLA CHE SEGUE E’ UNA NOTA A PIE’ DI PAGINA] (Si pensi ad esempio alla dottrina marxista che fornisce i tratti di un’analisi del capitalismo della prima metà del secolo XIX, alla quale manca però, appunto, una profondità storica. E ciò si dimostra dal fatto storico che cento anni dopo ha cessato d’essere valida.)

Anonimo ha detto...

Quest’ultima si rivela necessaria per affrontare una registrazione degli elementi più completa. Alla stessa maniera affidarsi ad un metodo esclusivamente diacronico di analisi della « Crisi » non permette di raggiungere una teoria inglobante.
L’analisi della « Crisi » implica dunque un percorso a ritroso (diacronico) al fine di cogliere i punti fondamentali che hanno segnato la sua origine. In secondo luogo, implica un’analisi diacronica delle precedenti civiltà che, di fronte a determinate crisi, sono state dominate da queste ultime. Ciò permette la formulazione propositiva di una teoria, di un modello, che verrà applicato all’analisi sincronica della « Crisi » contemporanea. Si coglieranno una serie di elementi che indicheranno la via che la nostra epoca sta seguendo, e soprattutto dei suggerimenti per l’attuale momento storico e per l’avvenire da conquistare.
Nell’esposizione seguente si metteranno in primo piano i punti salienti della « Crisi », rinviando alla sezione III di questo lavoro la maggior parte delle soluzioni che si intendono adottare.

A. M.

Anonimo ha detto...

Le istituzioni.

L’uomo e la crisi.

La tecnica nata con l’uomo, sua amica inseparabile, da quattro secoli ha preso una direzione che appare oggi del tutto incontrollabile. Il ritmo della rivoluzione tecnologica era all’inizio lento, in seguito è aumentato rapidamente in via esponenziale: oggi si presenta con un’intensità e un’estensione che trasforma, o meglio modella un nuovo tipo di società.
La rivoluzione tecnologica, scatenando forze centrifughe, incrementa lo scisma sociale, sradica l’uomo, lo consegna alle potenze anonime di livellamento, ne fa lo schiavo della macchina e delle tecniche. Nasce così un nuovo fenomeno sociale: la massificazione o proletarizzazione della vita stessa. L’uomo tende verso l’anonimato e l’impersonalità, la sua possibilità di scegliersi diminuisce incessantemente, allora la sua esistenza assumere sempre più l’aspetto di una routine. Martin Heidegger ha messo chiaramente in evidenza che, con l’organizzazione totale della scienza e della tecnica, dell’essere non ne è più niente.
È sempre più agevole fare ricorso a degli automatismi o a delle tecniche che perseguire da soli il compimento del proprio destino. È questo il dramma della nostra epoca. Essa offre tali facilità per soddisfare tutti i bisogni, tutte le funzioni che essa finisce col falsarli o con lo sterilizzarli. Per comprenderla, e per comprendere ciascuna delle perversioni che l’accompagnano, in particolare quella che porta ineluttabilmente alla dittatura le pretese democrazie, bisogna tentare l’analisi del progresso tecnico, l’analisi del metodo, con il quale l’uomo, credendo di conquistare il mondo, non ha fatto, in realtà, che sottomettersi a delle nuove fatalità.

Anonimo ha detto...

L’uomo è ad una svolta, minacciato da forze che ha generato e che ora gli si rivoltano contro. Sarebbe opportuno, pertanto, conoscere ciò che non appartiene alla condizione umana, per poi creare delle difese efficaci. Se si vuole comprendere come stanno le cose, si tratta dunque di inscenare una lotta tra uomo integrale (persona) e uomo integrato nella massa (proletario), richiamando in causa il destino stesso dell’uomo.
[N.P.P.] (Il proletario è colui che oggi comunemente viene chiamato l’uomo globalizzato, cioè colui che inconsapevolmente pensa e agisce in una maniera che non è dettata direttamente dalla sua stessa personalità. La proletarizzazione è una minaccia generale alla quale prima o poi ciascuno di noi è esposto, poiché siamo tutti ‘laminati’ dal ‘rullo compressore gigante’, poiché tutti, stiamo per diventare ‘dei robots ad un qualsiasi titolo’.

La nostra civiltà è condannata, le forze di decomposizione sono in piena attività: in una civiltà sana, gli esseri umani non si sommano, si affermano e si realizzano in ‘aggregati’ diversi. Considerati ‘in gran quantità’, gli uomini non costituiscono necessariamente una folla: possono formare delle collettività e delle comunità. Si richiede che si possegga l’impulso di una nuova cultura e che si rompa il dinamismo delle forze centrifughe. Le masse non sono altro che i sottoprodotti delle civiltà che si trascurano.
[N.P.P] (L’anonimato, secondo l’insegnamento di Heidegger, conduce all’uniformità, al livellamento dagli aspetti più comuni della vita, come l’alimentazione e l’abbigliamento. Il livellamento si produce persino negli aspetti più personali, e in teoria autonomi dell’uomo quali il pensare, il giudicare, la scelta delle azioni, implicando in questo modo tutta la scala dei valori. Tutto ciò tende a trasformare l’uomo in un automa.)

A. M.

Anonimo ha detto...

Queste penne elettroniche non vogliono proprio funzionare, speriamo che Massimo Crecca mantenga l'impegno per attuare una ricezione un po' più seria onde evitare la pubblicazione della stessa parte di discorso per 2 volte.
Per circa 1,5 ore non mi è stato possibile verificare la pubblicazione,una volta riottenuto il segnale ho lasciato lo stesso commento di prima. Chiedo scusa ai lettori e a questo punto andrei a nanna.

A. M.

Anonimo ha detto...

Si è detto che l’uomo nel momento in cui è soggetto all’azione estranea alla sua personalità e ne partecipa con il suo comportamento, diventa un individuo massificato o proletarizzato.
L’uomo ha perso la dimensione di se stesso e delle cose, la sentenza non è ancora stata eseguita. La sua attuale missione consiste nel recuperare il senso e la misura, sfruttando al meglio questa proroga di tempo, questa grazia, per risolvere l’« enigma della Sfinge », e per non essere quindi divorato da essa. Questa è la sfida che la storia lancia all’uomo. Sarà vittima o vincitore?
[N.P.P.] (In una tale situazione, i tentativi riformisti –utili e legittimi in periodi vuoti della storia– divengono le peggiori delle tentazioni. All’epoca della Grande Crisi, che è la nostra, la politica dei piccoli passi diviene un crimine contro l’umanità in quanto, allora –ascoltiamo la voce del profeta (Charles Péguy)–, ‘nulla è micidiale come la debolezza e la vigliaccheria; e niente è umano come la fermezza’).
Molti operatori culturali non si preoccupano di precisare la sostanza della crisi, prediligono piuttosto i « luoghi comuni » che sono più facili da giustificare. Appare sempre sullo sfondo la « mediocrità morale », « il sordido materialismo delle masse », la « crisi dell’autorità, la dimenticanza dei valori spirituali.
Alla stessa maniera, gli uomini che fanno una gran propaganda della Comunità Europea, si tengono con i loro discorsi in una zona «neutrale». Infatti questi, con trasposizioni di entità anacronistiche, come la lotta tra socialismo e capitalismo, tra economia dirigista ed economia liberale, tra dittatura e parlamentarismo, nascondono il reale protagonista del « ring europeo »: il « Re-Denaro ».

A. M.

Anonimo ha detto...

Gli europeisti, stanno progettando e attando su un piano più vasto, le forme di una società vittima dei demoni, e non hanno nessuna volontà di cambiare il senso della società, ma solamente di cambiare la scala delle istituzioni.
Il nuovo sistema, al contrario, vuole contribuire a restaurare le iniziative e le responsabilità particolari secondo tre criteri: un cambiamento totale di rotta (il cambiamento di piano) che porti ad una rigenerazione della democrazia; in secondo luogo, una lotta aperta contro le feudalità economiche distribuendo i loro privilegi e ripartendo (suddividere) le loro attribuzioni sull’insieme della nazione e non sugli organismi di Stato; in ultimo, limitare lo Stato al compimento di certe funzioni amministrative e al controllo di certe iniziative particolari, senza fargliene prendere la carica né assumerne la direzione.
Il presupposto per l’attuazione di queste nuove linee è possibile pensarlo esclusivamente rivoluzionando le dimensioni dello Stato nazionale, e rivoluzionando le sue strutture o istituzioni. Lo Stato nazionale sviluppatosi a partire dal XVI° secolo, dai bisogni e da contingenze di cui il meno che si possa dire è che hanno fatto il loro tempo, è oramai troppo piccolo e troppo grande. Così, lo Stato nazionale è troppo grande poiché il contatto con le realtà umane non c’è e non può esserci; in questo modo, lo Stato centralista diventa oppressivo e non rappresenta e non protegge l’individuo e le collettività.
Si è detto che lo Stato nazionale è al tempo stesso divenuto troppo piccolo, poiché i problemi decisivi si pongono oramai su scala mondiale o almeno, per ciò che è dei nostri paesi europei su scala europea.
Il centro del problema sta proprio nel presentarsi di queste due evidenze: da un lato, le dimensioni dello Stato nazionale, dall’altro, le strutture o organizzazioni istituzionali ormai superate che escludono in modo palese l’espressione democratica. Questi punti favoriscono in modo clamoroso la proletarizzazione generalizzata.
Louis Armand de Plaidoyer pour l’Avenir diceva: "[…] i conservatori di ogni farina hanno un bell’erigersi ‘in difensori della Legge o della civilizzazione occidentale’, anzi della Cristianità, non fanno, tutt’al più che prolungare la decadenza, ‘fino al giorno in cui tutto esploderà sotto la pressione dei fatti’".

A. M.

Anonimo ha detto...

La democrazia.

Il governo democratico, come diceva Abraham Lincoln, deve essere: « Il governo del popolo, dal popolo, per il popolo ».
[N.P.P.] (Se è in questa formula che si deve ricercare l’essenza della democrazia, è importante mettere in luce, impietosamente, l’approssimazione pericolosa che essa contiene. Qualunque sia il regime che si voglia prendere in considerazione, il popolo non è mai chiamato a governare. Quelli che sostengono il contrario sono, sia degli imbecilli facili da mistificare, sia ancora, più verosimilmente, abili demagoghi che non lusingano il popolo se non per meglio ingannarlo.)

Ma, aggiungerei, su base locale e depurato da ogni mistificazione. L’ideale democratico, per il quale il cittadino deve poter partecipare alle decisioni che lo concernono, è gravemente eluso dal nostro sistema di governo.
La democrazia si dovrebbe fondare su un’articolazione di solidarietà che nasce dalla base, dal cittadino che pratica l’amministrazione locale.
L’idea democratica del nuovo sistema si potrebbe accostare, ad esempio, a quella della democrazia ateniese, che era caratterizzata dal coinvolgimento dei dêmoi nella cura degli interessi politici. Il coinvolgimento, però, verrebbe esteso attualmente alla partecipazione e alla gestione del potere economico e sociale.
Nella gestione del potere politico, la democrazia diretta può essere esercitata esclusivamente a patto che i cittadini siano riuniti, in numero limitato, in gruppi. Dal momento in cui questi gruppi si allargano in maniera spropositata, iniziano a sorgere i primi problemi, poiché la democrazia, intesa come partecipazione diretta alla deliberazione o, in certi casi, come una partecipazione per delega (in cui il legame tra rappresentante e rappresentato è molto stretto), non ammette una tale condizione. Si rende necessario, in questo caso, l’inserimento di istituzioni che allontanano decisamente l’elettore dagli uomini incaricati dell’esecutivo. Nasce così la « Macchina dello Stato », e il sistema di governo tende a concentrare i poteri negli organi centrali dello Stato.

Anonimo ha detto...

Possiamo delneare i contorni di due principi direttivi radicalmente opposti: da un lato il principio libertario d’autonomia, cooperazione e coordinamento del nuovo sistema; dall'altro il principio regale (cesarista) d’eteronomia, di concentrazione e subordinazione che si identifica con l’organizzazione statale di oggi.
Il principio libertario d’autonomia, che si potrebbe qualificare come proudhoniano, non potrebbe incarnarsi se non attraverso delle formazioni limitate, a misura d’uomo, di cui la comune dovrebbe essere una delle più importanti, e se dir si può, una delle più ‘naturali’. Va da sé che non è un ritaglio arbitrario dell’amministrazione territoriale che questo termine ‘comune’ deve evocare, ma un gruppo ristretto fondato su dati immediati di vicinato e sulla realtà, non meno immediata, d’una comunità elementare d’interessi: iscritta nei fatti, questa comanda una forma, ugualmente primaria, di solidarietà, d’associazione e di ‘reciprocità’ umane.
Questa interpretazione incarna l’esigenza di costituire una società democratico-organica, orientata dal basso all’alto (o dalla periferia verso il centro), in aperta opposizione alle forme di potere odierne, che tendono a paralizzare questa ascensione spontanea, partecipando, poco o tanto, allo spirito di dominazione che si oppone, punto per punto, allo spirito organico d’una società veramente popolare.
È un fatto che sul piano politico la "democrazia meccanica" erige arbitrariamente un centro decisionale che ignora l’uomo reale e non ne permette la fioritura. Oggi a rendere sacra la procedura democratica, con l’unico scopo di renderla apologetica, può concorrere la considerazione di due principi: quello di « volontà generale » e quello di « libertà costituzionale ». In questi articoli di fede, appunto, si profila il criterio antilibertario di dominazione che partecipa all’azione di proletarizzazione generalizzata. Siamo in presenza d’un fenomeno d’aberrazione o d’ipocrisia collettiva. Infatti, in ogni società la cui struttura è discendente, detto altrimenti orientata dall’alto in basso e, per questa stessa ragione, generatrice della proletarizzazione, il suffragio universale tende a spossessare il popolo dei suoi problematici poteri, a profitto d’organismi sempre più astratti e sempre più oppressivi.
Fino a quando la pubblica opinione si esprimerà a livello politico esclusivamente eleggendo i suoi rappresentanti, il vero potere dell’elettorato resterà sempre il potere di scegliere chi lo governerà. Con le elezioni non si decidono singole questioni di governo, ma si decide chi sarà a deciderle.

Anonimo ha detto...

Inoltre le pretese libertà costituzionali non sono rispettate se non nella misura in cui esse salvaguardano le apparenze favorevoli all’esercizio inconfessato del puro principio regale.
L’espediente necessario per risolvere la questione democratica potrebbe essere la moltiplicazione dei corpi elettorali e dei centri di potere che permettano di dividere e frazionare la massa, in modo da poter ridare all’uomo singolo un’influenza reale e riportare ogni determinazione a misura d’uomo.
Attenzione però, l’uomo non è solo l’elettore
[N.P.P.] (È con lo statalismo che le grandi civiltà finiscono col morire quando una moltitudine anonima d’esseri (o più esattamente, dei fantasmi d’esseri), senza radici, senza volto, non oppongono più altra resistenza che quella della disperazione nei confronti ‘del più freddo dei mostri freddi’; quando, divenuto un ingranaggio d’una vasta meccanica, l’uomo abdica la sua nobiltà d’essere libero e responsabile e s’abbandona a schiavo ai terribili semplificatori. Questi s’applicano senza tregua a ridurre gli uomini al più piccolo comun denominatore e lo spazio sociale ad una sola dimensione. Ah! se l’essere umano potesse essere identificato con questo o con quello, come tutto parrebbe più semplice.), [se io fossi un lettore rifletterei attentamente su questo punto]

occorre richiamare l’attenzione sul concetto di pluriappartenenza dell’uomo e sul concetto di pluralismo sociale. Si rende necessario porre accanto alla mera espressione politica (le elezioni) altri fattori che permettono a grandi linee di circoscrivere ciò a cui l’uomo partecipa: ambiente famigliare, lavorativo, ricreativo, ecc.
Il carattere pluralistico reale lo si può rintracciare in quelle istituzioni in cui gli individui, le famiglie, le associazioni sono chiamate a determinare direttamente il loro destino. Tali istituzioni devono garantire il diritto alla reale partecipazione, controllo e gestione delle istituzioni stesse.
Le nostre istituzioni politiche, create per la maggior parte nei secoli precedenti, non sono più per lui adeguate alla nostra civiltà.
[N.P.P.] (I nostri poveri piccoli Stati, gonfiati dalla loro importanza, drappeggiati nelle loro grandeurs passate, impotenti nel cogliere il senso degli avvenimenti, impastoiati nei loro saperi chiusi già ancora che nelle loro ignoranze, i nostri poveri piccoli Stati, tanto più esigenti che sono divenuti incapaci di rendere i servizi per i quali sono stati creati, i nostri miserevoli Stati che oscillano tra l’impotenza e il totalitarismo, sono condannati a capitombolare fino in fondo nella discesa fatale, a cancellarsi gli uni dopo gli altri dalla carta movente del mondo.)

Queste istituzioni si dimostrano oramai sclerotizzate, non trovano più le soluzioni per i problemi fondamentali del mondo d’oggi: abbiamo il dovere di denunciare le insufficienze e gli errori, la vigliaccheria e le incoerenze delle imprese ufficiali.

A. M.

Anonimo ha detto...

Vorrei, a qesto punto, salutare cordialmente i due o tre possibili nuovi lettori facenti parte della Divisione delle Investigazioni Generali e delle Operazioni Speciali.

A. M.

Anonimo ha detto...

La società attuale è retta da giganteschi apparati amministrativi in cui l’uomo, destituito alla condizione di mero oggetto è vittima di contorte manipolazioni, non domina più il suo destino. [N.P.P.] (Péguy scriveva: “[…] l’esercizio del suffragio universale è divenuto un gioco di menzogne, un abuso di forza, un insegnamento di vizio, una malattia sociale”. Mentre Proudhon scriveva: “[…] ‘il popolo, considerato come il sovrano, è una finzione, un mito’ che segna con il suo voto ‘la sua abdicazione’. ‘Questo popolo intanto vota.’ Bravo! Scrive. ‘Fate perfettamente l’esercizio… A sinistra! A destra!… e obbediscono. […] In avanti, marche! Nominate l’imperatore, e gridano viva l’imperatore! Che razza!’”)

La civiltà occidentale è caratterizzata da un incontrollato dominio politico.
[N.P.P.] (Si è installata l’impotenza, l’anonimato e l’oppressione. È la corsa nel precipizio. È l’orchestrazione su tutti i temi del ‘niente fa del male’ è il regno dei miti e dei mitomani degli incapaci e dei corrotti. Si è ipertrofizzato il politico, non si fa più che della politica. Poiché è la maniera migliore per non far nulla avendo l’aria di fare qualcosa. È non far nulla, è fare del male, perché si lasciano allora le cose agire al posto di governarle e le cose agiscono in effetti; esse agiscono sempre contro l’uomo ».)

La struttura politica di oggi esclude ogni partecipazione diretta alle elaborazioni delle decisioni da parte di chi ne subirà le conseguenze. Il governo diventa in questo modo fonte di disordine e di repressione sistematica.

Anonimo ha detto...

I partiti politici e la politica dello spettacolo.

La pluralità dei partiti non ha impedito allo Stato moderno di scivolare sulla china del totalitarismo. Non si tratta di un incidente storico: il fatto stesso che, da un secolo e mezzo, gli spiriti più lucidi abbiano previsto e predetto quest’evoluzione, prova che essa non è né accidentale né contingente. Il sistema dei partiti politici, come forma di espressione politica, è sulla via del fallimento. Certo non ci si può opporre ad una delle libertà fondamentali, ossia quella dell’inalienabile diritto di raggrupparsi seguendo la propria affinità politica.
Una delle caratteristiche della democrazia odierna, è quella di identificarsi progressivamente con il sistema dei partiti politici. In questo modo, la democrazia si trasforma in partitocrazia.
Già Proudhon aveva notato la confusione che si protrae tra il regime dei partiti e il parlamentarismo, e ancora, tra quest’ultimo e la democrazia, che conduce alle peggiori aberrazioni.
Georges Bernanos, de La Liberté - Pourquoi faire?, diceva: "Da sempre l’organizzazione dei partiti è stata totalitaria e concentrazionaria, anche quando voleva identificarsi con la libertà".
Alla stessa maniera Péguy ha mostrato, parlando del socialismo, il fatto che, diventando parlamentare, esso si trasforma in statalismo e non è più vero socialismo. L’opinione che deve essere rivista è quella che vede il partito politico come forma permanente d’espressione politica. Il partito politico spossessa il cittadino della responsabilità della vita pubblica. Il sistema dei partiti è sorto di pari passo con il capitalismo, l’individualismo e il principio regale di libertà e di sovranità centralizzata, e si è compiuto nello Stato totalitario del XX secolo. I partiti politici attuali vogliono dirigere l’opinione pubblica e, in più, tentano di accaparrarsi il diritto di essere la forma esclusiva d’espressione dell’opinione pubblica.
[N.P.P.] (Sono gli uomini di partito che giocano col gioco, che tengono la scena, che si pavoneggiano, che parlano con la mano sul cuore e con l’occhio umido, e che non si oppongono gli uni agli altri se non per meglio intendersi alle nostre spalle. Qualunque sia il partito a cui s’appellano, il male che hanno fatto supera smisuratamente il bene che avevano promesso di fare. E dall’estrema destra all’estrema sinistra, non c’è altro limite alla malvagità dei partiti che la loro impotenza!
Così, i partiti politici, o piuttosto il partito politico, ogni partito politico, costituisce un avvio verso i regimi totalitari, verso la perdita delle libertà.
[N.P.P.] ((Uno tra i tanti mezzi della Fuga dalla libertà, Erich Fromm lo riconosce nei partiti politici. Si veda Erich Fromm, Fuga dalla libertà, ed. di Comunità, Torino 1980.)
Contiene già in germe tutti i dati psicologici del fascismo: ogni partito tende ad essere il partito dominante e unico. Ogni partito si comporta di fronte ai suoi membri come se fosse unico, esigendo la loro cieca fiducia e la loro adesione esclusiva. E si sa che il partito unico ha dappertutto costituito la formazione politica propria ai regimi totalitari.

Anonimo ha detto...

Bisogna rendersi all’evidenza: la maggior parte degli spiriti contemporanei, deformati dalla propaganda, sono impotenti nel riconoscere, nello strumento dei partiti, uno dei mezzi d’azione più temibili del dispotismo. È molto importante evitare di fare ricorso alla molteplicità dei partirti per timore del partito unico, poiché questa molteplicità di partiti non rappresenta la garanzia politica della libertà individuale e la traduzione legittima della diversità delle opinioni e degli interessi. La diversità in questione, nella misura stessa in cui essa è reale e non solo apparente, s’orienta spontaneamente verso altre forme d’espressione rispetto al modo dei partiti, forme che, secondo le circostanze, possono rivelarsi societarie o comunitarie, spirituali o materiali, comunaliste o sindacali, ma che, tutte, debordano necessariamente il quadro dei partiti. Se da un lato il moltiplicarsi dei partiti politici può sembrare un fatto rassicurante per le garanzie del pluralismo politico, dall’altro il progressivo svuotamento di ogni contenuto ideologico rende indistinguibili gli stessi partiti politici; al limite, appare il sistema dei due partiti che tendono a divenire intercambiabili, o anche –coronamento dell’edificio– il sistema del partito unico che elimina e assorbe tutti gli altri. Ogni partito segue una logica intrinseca, vale a dire la conquista dello Stato. Bisogna riconoscere che anche in regime liberale, ogni partito è già virtualmente un partito ‘unico’. Contrariamente alle apparenze, non c’è rottura di continuità tra il regime liberale e il regime totalitario.

Anonimo ha detto...

Il lettore attento si sarà accorto che nella comunicazione del 01 giugno 2010 19.20, prima dell'ultima [N.P.P.] ho scritto: "Le nostre istituzioni politiche, create per la maggior parte nei secoli precedenti, non sono più PER LUI adeguate alla nostra civiltà."
Mi riferivo a Noam Chomski.

Chiedo scusa a questi lettori.

A. M.

Anonimo ha detto...

Suffragio universale al di là dei partiti

Nello scenario del nuovo sistema si attuerà un cambiamento radicale dei modi d’azione e d’organizzazione politica. I gruppi che si affronteranno avranno caratteristiche fondamentalmente diverse dai partiti politici attuali. Così come gli animali da lavoro di un tempo sono stati oggi messi a riposo e sostituiti, se non altro nei paesi occidentali, da varie macchine, alla stessa maniera, nel futuro sistema, i partiti politici odierni saranno messi da parte poiché appariranno inefficaci e anacronistici.
[N.P.P.] (D'altronde i partiti politici odierni sono organizzazioni povere di idee e lontane dal senso del reale.)

Tutto ciò però non avverrà con metodi polizieschi. I partiti politici, semplicemente, non troveranno più il consenso che oggi li fa vivere. Con il futuro sistema ci sarà un rinnovo delle forme d’espressione politica, nasceranno formazioni con un nuovo stile, ma bisogna osare, bisogna immaginare, bisogna creare.
Se il termine democrazia ha ancora senso, il suo senso non è di scegliere ogni quattro o cinque anni, i suoi capi e i suoi ciarlatani ai quali si dà carta bianca.
Non è vero ciò che affermano i sostenitori del regime, vale a dire che il cittadino non ha il tempo necessario o non ha la volontà di curarsi delle questioni che riguardano la politica, perché il suo impegno è concentrato sul lavoro, sulla famiglia, ecc. Non è altresì vero che il cittadino non ha la preparazione adeguata per decidere o agire su particolari questioni, ad esempio sulla situazione dell’economia e della finanza o sulla realizzazione e cura degli interessi di nuovi servizi e infrastrutture. Non è vero, infine, che il cittadino non è in grado di afferrare il senso dell’interesse generale e di adeguarsi ad esso, sovrapponendovi continuamente i suoi interessi particolari. Se ciò fosse vero, allora, giustamente, la partecipazione politica dovrebbe limitarsi all’esercizio del voto, in modo da poter eleggere dei rappresentanti esperti, neutri (cioè senza scopi di interesse personale) e con del tempo a disposizione.
Le procedure democratiche odierne favoriscono effettivamente una reale partecipazione politica esclusivamente ai partiti politici bene organizzati e finanziati. Va tenuto anche conto del fatto che i programmi politici sono elaborati dagli organi centrali dei partiti, e la stessa candidatura dei rappresentanti è decisa dagli stessi organi centrali [lista civica di Nus (parzialmente) a parte].

Anonimo ha detto...

Se la libertà democratica è questa, essa non è che una amara derisione e riduce al nulla l’estensione del potere politico popolare. È naturale quindi rinnovare gli strumenti politici e abbandonare l’ideale fantasioso che il suffragio universale, concepito in questi termini, sia la personificazione del potere politico.
È il regno della prostituzione elettorale e parlamentare, dove le elezioni sono sempre buone, poiché è il governo che fa le elezioni. Ma anche dove l’esercizio del suffragio universale è divenuto un gioco di menzogne, un abuso di forza, un insegnamento di vizio, una malattia sociale, un insegnamento d’ingiustizia… l’elezione legislativa è diventata la volgarizzazione dello spirito e dell’anima e del corpo stesso. Anche queste elezioni, per le quali i nostri padri si sono tanto battuti, le hanno ‘truccate’ come il resto. Sì, è veramente questo orrendo regime democratico, il meno popolare, in meno profondamente popolo che ci sia e che si sia mai visto in questo mondo, e soprattutto il meno repubblicano.
Tra le nuove proposte del futuro sistema, si può menzionare il suffragio universale organizzato. Non si deve pensare però ad una organizzazione rigida, prefabbricata, imposta dall’alto in nome di un nuovo razionalismo, ma ad un ordine organico, emanante per così dire dalla natura delle cose e dalla volontà degli uomini, e tendente a riconciliare, in una ‘sintesi’ superiore, ciò che ci può essere di legittimo nelle esigenze della democrazia diretta, e ciò che ci può essere di ineluttabile nel sistema della delega dei poteri; ‘sintesi’ che preserva le piccole società primarie contemporaneamente dal pericolo d’assorbimento e da quello di ripiegamento su esse stesse; e le grandi società complesse, dalla minaccia del totalitarismo, brutale o ipocrita, strumento di gregarizzazione, di disumanizzazione, di proletarizzazione totale.

A. M.

Anonimo ha detto...

Il suffragio universale se vuole essere veramente efficace, non deve più tollerare d’essere immedesimato e fagocitato con la forma di espressione democratica contemporanea. La democrazia, per essere veramente partecipativa e non un falso simulacro, deve dunque esigere un cambiamento delle procedure democratiche. Il compito d’ogni individuo è di acquisire la forza necessaria affinché possa finalmente esprimere interamente la sua dimensione politica, partecipandovi attivamente.


Il regime rappresentativo.

Come si è detto il regime rappresentativo è un meccanismo distorto e sclerotizzato. Ogni uomo, se proprio non ha, per natura, diritto su tutto, come per Thomas Hobbes, ha per lo meno il diritto di affermare la sua naturale forza espansiva fin dove questa ha il potere di mantenersi. Si tenga presente, a tale proposito, che coi termini di regime rappresentativo, si vuole indicare quel meccanismo istituzionale che permette il contatto reale e la relazione organica tra eletto ed elettore. La convinzione è che il freddo meccanismo rappresentativo attuale, così rigidamente costituito, mal possa compenetrare la realtà umana: corpo naturale l’uomo, corpo artificiale il regime rappresentativo. Proprio mettendo in rilievo i caratteri opposti e l’impossibilità di dimostrare come l’uno possa agire sull’altro, si ribadisce il carattere illogico del regime rappresentativo che esclude l’interazione diretta tra rappresentato e rappresentante.
Escludendo le elezioni comunali per piccoli comuni, ci si può facilmente rendere conto che in circoscrizioni di centinaia di migliaia di elettori, come nel caso delle elezioni politiche delle grandi nazioni, un contatto diretto tra elettori e eletti è un’utopia. C’è un esempio limite: le elezioni del Parlamento Europeo. Queste elezioni e il potere centralista che ne consegue hanno il sapore di una “truffa legale”, rendendo così inevitabile il camuffamento, sotto etichette politiche, di interessi che non osano dire il loro nome.
In questo modo, l’elezione e gli organi rappresentativi centrali tendono a ridurre la libertà propriamente politica del cittadino alla possibilità di defilare ogni quattro o ogni cinque anni davanti all’urna elettorale. Un tale regime rappresentativo nega i principi stessi sui quali pretende appoggiarsi e crea un tabù politico. Accade così che il partito politico, segnalando i suoi candidati, ponga l’elettore nella posizione in cui egli conosce e apprezza i candidati quasi esclusivamente in base a professioni di fede verbali.
I mezzi elettorali da mettere in moto su scala dalle circoscrizioni europee sarebbero tali che solo i partiti sempre più potenti, centralizzati e ‘messi al passo’, sempre meno accessibili all’impulso e al controllo ‘democratici’ della base, disponendo di un finanziamento sempre più consistente, che solo tali partiti potrebbero mobilizzare e manipolare dei mezzi sufficienti per riuscire ad elevarsi al livello europeo.
Deve essere decisa l’opposizione nei confronti di queste organizzazioni politiche che agiscono « in nome del popolo » ma che hanno, però, lo stesso valore di un transfert ingiustificato di potere.
È infatti nel retroscena del Parlamento che si decide quelli che si chiamano pomposamente i grandi interessi della nazione; è in questo retroscena che preferiscono tenersi le potenze che ci governano, che sono multiple e diverse, che mescolano gli intrighi internazionali, antinazionali e le speculazioni bancarie alle trattazioni elettorali, che hanno più d’una maschera, se non un viso umano, che hanno più d’un nome e che sono pertanto innominabili, che hanno più d’un servitore, ma un solo dio: il Denaro.

Anonimo ha detto...

Occorre promuovere forme di rappresentazione che perfezionino e completino il principio di separazione dei poteri e l’equilibrio delle funzioni, delegando al potere centrale solo i problemi non risolvibili ai livelli preliminari. La rivoluzione ascendente dovrebbe avviarsi appoggiandosi su una solida rete di comunità di base, su delle Comuni affrancate, su degli Ateliers autonomi, su delle libere imprese, su dei gruppi sindacali e professionali, trasformati e ringiovaniti, su uno slancio sociale nutrito da forze popolari: postulato di una azione sociale efficace di ricostruzione civica.
Bisogna opporsi alla nostra odierna organizzazione meccanica imposta dall’alto, e occorre ripartire dalla volontà dell’« uomo in carne e ossa », recuperando quell’ordine organico usurpato dall’inumano prefabbricato. Il regime rappresentativo attuale non ha nessun diritto di spogliare il popolo di un diritto inalienabile: quello di far sentire la sua volontà.
Sono i livelli intermediari che si tratta di rispettare, se si ha la ferma volontà di dare alle elezioni un carattere di scelta diretta. Conviene sempre far eleggere dagli interessati l’organo rappresentativo che sia loro più vicino: di modo che, l’elezione acceda alla dignità di un vero metodo di selezione. Il contatto diretto tra l’elettore e l’eletto, la comunità concreta di interessi e di preoccupazioni che li riunisce, la loro solidarietà spontanea nei confronti d’altre istanze, più lontane, forse non garantiscono la scelta ‘automatica’ dei migliori (non potendo alcun processo offrire una tale garanzia), ma lo rendono almeno possibile e probabile.
E' irragionevole che un’esigue minoranza, i rappresentanti, possa avere il monopolio delle decisioni, mentre la maggioranza, il popolo, non sia chiamato, mai, a decidere.
[N.P.P.] (Le elezioni sono buone, voi dite, sono ancora, sono sempre favorevoli al governo… Ma le elezioni sono sempre buone. Il governo fa le elezioni, le elezioni fanno il governo. È un contraccambio. Il governo fa gli elettori. Gli elettori fanno il governo. Il governo fa i deputati. I deputati fanno il governo. Si è gentili. Le popolazioni guardano. Il paese è pregato di pagare. E il paese paga. Paga a tal punto che le casse sono vuote, che il suo cuore è senza amore e senza entusiasmo, e dubita di se stesso, e dubita del suo onore.)

Anonimo ha detto...

Lo so: mi si accuserà di far opera di pamphletteria; mi si rimprovererà d’esagerare. Ah! Se al posto di denunciare (arbitrariamente, si dirà, con un eccesso di zelo, quanto gratuito… gratuito: è veramente il culmine dell’imbecillità!), se al posto di denunciare le tare di questo regime che ci corrode, che vive della nostra pelle e di cui noi moriamo; se al posto d’attaccare (ingiustamente, senza gradazioni, senza discernimento, con una brutalità scioccante, con una mancanza di misura che non è da “filosofo”, che non è di buon gusto) i partiti, tutti i partiti, i politici, tutti i politici, i corruttori e i corrotti, la finanza anonima e vagabonda e i suoi servitori che sono vagabondi senza essere sempre anonimi; se al posto di fare prova d’intransigenza con selvaggia foga (bella intransigenza, va da sé, ma anche troppo eccitata… calma, giovane uomo!), se al posto di mostrarmi così severo per delle istituzioni che dopotutto sono le nostre (non è così?) e per degli uomini che hanno le loro debolezze, ma che fanno ciò che possono e di cui non abbiamo il diritto di dimenticare né di misconoscere le pesanti responsabilità; se al posto di cadere nell’esagerazione e nel pamphlet, avessi voluto solamente considerare le cose e le genti con un po’ d’umanità, con molta oggettività… Se avessi voluto solamente migliorare questo regime, al posto di mettere a soqquadro tutto; se avessi voluto avanzare delle prove, al posto di sentenziare e d’affermare come uno che soffre e che grida… Allora… Oh! Allora, il mio proposito sarebbe stato un proposito molto saggio, che avrebbe fatto piacere a tutti, anche ai miei amici, e che mi sarebbe valso i complimenti dei miei colleghi… Avrei fatto un buono, un coscienzioso articolo di ricapitolazione; senza alcuna idea maestra (le idee maestre, le idee troppo intere sono pericolose, non si sa mai fino a dove esse possono trascinarvi): dei fatti, nient’altro che fatti; degli avvenimenti ben eguagliati, accuratamente passati al rullo; enumerazione; scaglionamento; niente più; l’idealismo storico riceverebbe una adorazione discreta, poiché dobbiamo riverire gli antichi dei.

Fuori tema: mi ritornano in mente anche le accuse (a giusto titolo in quell'occasione parlando del movimento sofista) di Makhno [sarà ancora tra noi?] e quelle un po' meno giustificate dell’ex candidato che parlava di: 1) “ logorrea (loquacità, verbosità irrefrenabile, talvolta patologica) (Il dizionario della lingua italiana, Devoto-Oli, Le Monnier, Firenze 1990, p. 1069) è u[n] malanno diffuso, parrebbe... “ 2) “interessante, infine, l'analisi dei commenti che si susseguono a ruota... Uno studente di psicologia ci andrebbe a nozze!”.
Ovviamente come si diceva sopra...

A. M.

Anonimo ha detto...

Sì, sono tra voi anche se ultimamente sono occupato in altre iniziative. Visto l'impegno di A.M., mi ripropongo, appena ne avrò il tempo, di leggere con attenzione lo scritto, di meditare e di rispondere.
Un saluto a tutti.
Makhno

Anonimo ha detto...

La rappresentazione degli interessi.

La volontà generale che riassume l’insieme delle opinioni individuali, come vogliono i rousseauiani, non è una volontà di pura dottrina, ma porta con sé interessi particolari, che, seppur legittimi, vogliono essere fatti passare come interessi del paese. Gli interessi particolari, sorretti della loro organizzazione, si pongono e si sostituiscono agli interessi della totalità. Occorre opporsi ad ogni forma di corporativismo che tenta di eliminare l’interesse della collettività, a favore di interessi particolari. Gli interessi devono potersi esprimere in istituzioni ascendenti (cioè orientate dalla periferia verso il centro), e devono trovare una forma di bilanciamento tra i diversi livelli, in più devono far capo ad un organismo centrale, non centralizzato. Il Parlamento, che rappresentava da centocinquant’anni, l’istituzione capace di esprimere le volontà nazionali, ma che ora, concentrandole all’eccesso, senza contrappeso nel paese, le sterilizza o le falsa nei suoi intrighi di corridoio, nelle sue manovre di partito, e porta alla dittatura. Il governo centralista è uno dei punti nodali che favorisce la proletarizzazione e la massificazione generalizzata. Si rende necessario quindi mettere in opera un sistema rappresentativo diretto di interessi, che parte da un livello organico – in cui si equilibrano interessi e conoscenze, in cui gli uomini si apprezzano e si valutano, in cui il livello dei problemi posti tende a coincidere con il livello delle responsabilità assunte – al livello il più immediatamente accessibile, senza mai rompere, tra l’eletto e l’elettore. È dunque necessario organizzare delle istituzioni che permettano la gestione civica dei conflitti, promovendo il dialogo e l’incontro tra le parti, in modo da poter ridare la dignità alle parti stesse. In breve, occorre creare dei forum del cittadino, è necessario che le sedute della « comune » si aprano ad un libero dibattito; in ultimo si rende indispensabile organizzare delle votazioni popolari consultive, delle petizioni e istanze. E ancora non bisogna dimenticare le nuove possibilità che la comunicazione elettronica (la grande rete) ci mette a disposizione: si potrebbe creare una carta del cittadino con un numero segreto. Il cittadino attraverso l’uso della sua carta personalizzata potrebbe decidere direttamente le questioni che lo riguardano su tutti i livelli, partendo dalle associazioni locali sino ad estendere la sua influenza a livello nazionale ed oltre.

Anonimo ha detto...

Lo Stato accentratore.

Tenuto conto di quanto si è finora visto, comincia ad apparire chiara la dimensione entro cui si pone la riflessione concernente l’annosa questione dello Stato. Occorre insistere sul fatto che un’opinione da riesaminare è quella che si ostina contro ogni evidenza, ad identificare lo Stato con l’incarnazione del ‘bene comune’, con la società portata alla sua perfezione, o con non si sa quale Idea assoluta.
A questo punto, si rende indispensabile una citazione del teologo protestante Emile Brunner: « Non è nel 1917 che è nato lo Stato totalitario, non più che nel 1922 o nel 1933; è stato lentamente generato dalla nozione moderna di sovranità dello Stato […]. L’azione dello Stato si fortifica dell’indebolimento dei comuni e delle famiglie, ed è nella misura stessa in cui la struttura stessa della società si rivela insufficiente e in cui le comunità anti-statali degenerano, che il compiti dello Stato si gonfiano e si moltiplicano. Così, alla struttura naturale, organica spontanea, si sostituisce forzatamente una struttura artificiale, imposta dalla costrizione, che scende dal vertice verso la base… ed è l’avvento dello Stato centralizzato dei tempi moderni, Stato che cerca di colmare l’abisso scavato tra il potere centrale e l’individuo, imponendo arbitrariamente i modi d’organizzazione illusori: ma ha un bel moltiplicare i suoi dipartimenti, i suoi distretti o anche i suoi comuni, tutte queste formazioni, sprovviste di vita autonoma, non sono che suddivisioni amministrative dello Stato. Così si compie la sostituzione, alla vera comunità popolare, del meccanismo statale, ultima tappa prima dello sbocciare dello Stato totalitario ». (Emile Brunner, Gerechtigkeit Teologischer Verlag 1943, p. 180, [La terza edizione è stata ristampata a Zurigo nel 1981]).
Lo Stato non è la Nazione. Ancor di più non è il popolo. Confondere, come si fa sovente, nazionalizzazione e statalizzazione non è solamente un controsenso verbale, è la confusione profonda di cui soffre la nostra epoca, e che ha creato le dittature. Lo Stato è contemporaneamente l’emanazione tecnica della nazione di cui esprime e coordina i bisogni diversi, e servitore della nazione, di cui rende l’esistenza possibile con l’adempimento dei compiti amministrativi e dei servizi comuni. Non deve in nessun caso essere il padrone del paese. Il suo ruolo non è di dirigere, ma di servire, non d’introdurre metodi dittatoriali, ma di facilitare il compimento delle libertà democratiche. È così che, per ritrovare la democrazia, bisogna insieme limitare e rinforzare le funzioni proprie dello Stato, secondo le modalità del nuovo sistema.

Anonimo ha detto...

E dopo tutto, che cos’è l’apparato statale, una volta abolita la latria di cui è oggetto, se non coercizione istituzionalizzata? Quelli che lo negano sono, o degli spiriti chimerici e deliranti, o temibili demagoghi che, coscientemente o no, sperano di attingere in un futuro a lungo termine, più che ipotetico, un alibi a breve termine sul quale si concentrano le loro ambizioni reali.
Il mondo contemporaneo, il mondo del terrore, della forza, della proletarizzazione, il mondo concentrazionario non è stato generato da una cattiva metafisica?
Georges Bernanos scriveva: “Ciò che sussiste nello spirito, è un’idea astratta. Lo Stato è il guardiano delle leggi, la garanzia della legalità. Nella misura in cui si accresce il potere dello Stato, questo Onnipotente non guadagna in moralità ciò che guadagna in potenza. Lo Stato moderno non ha più che dei diritti, non riconosce più i suoi doveri, è precisamente per questo fatto che si è sempre riconosciuto il tiranno.”
Sullo stesso piano, Vittorio Mathieu connota la crisi dell’Occidente soprattutto come « una crisi dello Stato occidentale » (Vittorio Mathieu, Cancro in Occidente. Le rovine del giacobinismo (Editoriale Nuova, Milano 1980), p. 11).
Lo Stato assume ai giorni nostri un aspetto sacrale e inviolabile, si dà a questa parola Stato un prestigio quasi mistico, dileguando nella nebbia –dove tutti i gatti sono grigi– le evidenze prime, tali che un’analisi oggettiva della nozione di Stato non mancherebbe di rivelarlo: ciò che caratterizza lo Stato, è la forza. Più lo Stato è potente, e più è Stato… Ora, in una maniera concreta, la potenza statale non è altro che la burocrazia, la polizia e l’esercito, la cui congiunzione acquisisce un’importanza sempre più grande.
Lo Stato ha l’esclusivo scopo di servire la pluralità del corpo politico, ma la volontà generale elimina ogni forma di pluralismo politico effettivo. Il problema è il seguente: se solo l’Universale, valere a dire il pubblico, il collettivo e la rousseauiana « volontà generale », lo Stato (che viene personificato), può volere, allora la volontà di un singolo cittadino e quella molteplice, di una associazione di cittadini, vengono sistematicamente negate. La sovranità annulla la democrazia, poiché la « volontà generale », erroneamente interpretata come sovranità del popolo, non è nient’altro che la maggioranza parlamentare. Il centralismo è un chiaro sintomo di scarsa considerazione, se non quasi di disprezzo, nei confronti del singolo cittadino, e di mancanza di fiducia nei suoi confronti. Il nuovo tiranno è la maggioranza parlamentare. Essa provoca così la corruzione e l’inefficacia, portando alla degenerazione l’intera società che a essa si affida. La cosiddetta « volontà generale » è dunque una fonte permanente di disordine e di repressione. È lì che bisogna cercare la causa del declino delle democrazie: nel fatto che esse accettano, per pigrizia incoscienza o vigliaccheria, d’impiegare in nome della libertà dei mezzi totalitari. Il corpo politico ha un carattere profondamente pluralistico, mentre « la volontà generale » elude questa effettività. In questo modo lo Stato si trasforma da strumento in fine, poiché al posto di servire è esso ad essere servito, non potendo garantire il pluralismo politico.

Anonimo ha detto...

Non è forse arrivato il momento di voltare pagina?
Il razionalismo produce il trauma di ritorno dell’irrazionale: il nostro tempo è totalitario.
Lo Stato, essendo un organo strumentale creato allo scopo esclusivo di servire i vari corpi politici, non è « un individuo »
[N.P.P.] (Una collettività, qualunque essa sia, non è un ‘individuo in grande’, ma una realtà sui generis. Sono ancora i liberali che finiscono per far credere, come ricorda Péguy, che lo Stato non è altro che il raccoglimento, in un individuo fittizio e immaginario, di tutti i legami che si è voluto ristabilire tra gli individui. Si fa dello Stato un individuo.)

o « una persona morale » (Jacques Maritain), né « un soggetto di diritto » (Rechtssubject) (Georg Jellinek). Lo Stato centralista è, come già segnalato, un insieme di burocrazia, polizia ed esercito, in cui si decide dell’interesse superiore della giustizia e che pretende divenire l’ispiratore e il padrone della vita della Nazione.
Ecco perché lo Stato, tale quale la storia lo ha foggiato, è divenuto il mostro più pericoloso che l’umanità abbia mai dovuto affrontare. È da rimarcare che, già da qualche tempo (come già segnalato), l’idea di nazione tende a confondersi con il concetto di Stato: confusione incresciosa, sotto molti aspetti nefasta, che ha contribuito a falsare pericolosamente il principio detto delle nazionalità. Sotto un lato differente, raggiungiamo una verità già scoperta: la coincidenza dello Stato e della Società in un sistema, d’autorità unica, è la fonte da cui provengano, dall’antichità, tutti i regimi a carattere totalitario.
Ma le democrazie hanno veramente compreso che il nemico che le assale non è solamente all’esterno, ma è anche come un cancro installato in esse? Esse ignorano i loro veri nemici, o almeno la natura profonda e intima dei loro nemici.

A questo punto mi fermo: occorre una profonda riflessione [per il lettore].

Saluto il redivivo Нестор Іванович.

A. M.

Anonimo ha detto...

Si impone una riconsiderazione di Jacques Ellul de La Tecnique ou l’Enjeu du Siècle, per il quale lo Stato non è altro che totalitario anche quando è risolutamente liberale e democratico. In una maniera ampiamente asincronica, le differenti componenti della modernità si mettono successivamente a posto, formando una totalità che, progressivamente, racchiude tutta la società. Asserzione che non bisogna assolutamente interpretare nel senso di un determinismo dalla bassa fronte: solo i terribili semplificatori sono capaci di ridurre il concetto di totalità storica all’immagine infantile d’un puzzle i cui pezzi –poiché sono stati fatti per quello– non possono che assemblarsi. Nessun abbozzo premeditato era inscritto nei meandri, svolte e capricci della storia. Il tracciato non si inscrive sulla carta che alla lunga. Allora, si è costretti a costatare che, con vie traverse, ha condotto l’Europa e l’Occidente dal capitalismo elementare al regno della banca e della borsa, dal razionalismo filosofico alla partitocrazia, dalla fiscalità sistematizzata al regime rappresentativo, dall’amministrazione azzardata, esercitantesi con l’intromissione di molteplici clientele, alla burocrazia programmata, razionalizzata del Beamtenstaat, dal liberalismo dei Lumi alle tenebre della massificazione, al culto della Dea Ragione, alla divinizzazione dei Vojds, dei Führers, Capi, Guide, ecc., tutti infallibili, adorati e onnipotenti, detto altrimenti, del giacobinismo, dal giacobinismo al totalitarismo.
Tutte le misure legislative, anche apparentemente favorevoli, tendono in realtà ad integrare la società nello Stato, sarebbe a dire a trasformare le cellule organiche e viventi in semplici suddivisioni amministrative. Al contrario, si ritiene necessario responsabilizzare le comunità anziché assisterle.
Si dovrebbe ricusare categoricamente le espressioni come ‘ragion di Stato’, ‘Stato di diritto’, ‘al servizio dello Stato’, ‘un buon servitore dello Stato’, e così di seguito, in cui il termine Stato è utilizzato –indebitamente– come sinonimo di paese, popolo, patria, nazione, società o potere.

Anonimo ha detto...

Ogni istituzione, bisogna ricordarlo, deve offrire la possibilità di salvaguardare la cittadinanza di ogni singolo individuo e non di trasformarla in sudditanza. La democrazia è oggi un progetto intrinsecamente inadempiuto. È importante dunque organizzare una procedura democratica che favorisca lo sviluppo congiunto della libertà e della responsabilità, in modo che i cittadini possano divenire i responsabili delle loro vicende e di avere così la possibilità di manifestare una libertà autentica: c’è libertà solo ed esclusivamente dove c’è una responsabilità diretta.
Il giorno in cui l’uomo di strada saprà che la parola Stato non è che un sinonimo, indebitamente, insolentemente magnificato, della burocrazia, e che la democrazia, oggi, camuffa l’avvento d’una nuova tirannia; che questa stato-democrazia significa che una minoranza, più oppressiva ancora della precedente, gli succede nella dominazione sulle masse di schiavi; che pure nei paesi più ‘liberali’, gli eletti hanno la meglio sugli elettori, i mandatari sui mandanti, i delegati su quelli che delegano –
(Cfr. Paolo Pombeni, Introduction à l’histoire des partis politiques (P.U.F. (Coll. Recherches politiques), Paris 1992), p. 210 ss. (Edizione italiana, intitolata Introduzione alla storia dei partiti politici, Il Mulino, Bologna 1985 [P.S. Studiato quasi a memoria dallo scrivente per un esame di storia dei partiti e dei movimenti politici])
quel giorno, l’artificioso travestimento dell’Ideologia dominante, che asservisce gli spiriti a mo’ di pressappochismi, di verità mutilate, di semimenzogne, di contraddizioni ingannevoli e di confusioni deliranti, si lacererà, rivelando l’orrida faccia senza viso della [si rende per la prima volta necessario il maiuscolo per evidenziare l’importanza] DELLA PIU’ GRANDE TRUFFA DEI TEMPI MODERNI.

Anonimo ha detto...

L’Europa.

Ci si potrebbe chiedere se questa vocazione europeista, oggi così diffusa, non dovrebbe preludere ad una forma di costruttivismo sociale, cioè ad un impegno di programmata e metodica riconciliazione dell’uomo con se stesso e con la comunità resa organica e quindi armonica dalla tendenza all’incontro degli ideali e dalla solidarietà degli interessi.
Occorre a questo punto un chiarimento: il realismo si impone, non si può correre il rischio di essere chimerici, non si possono e devono immaginare riconciliazioni totali dell’esperienza umana, anzi è decisamente negativa ogni pretesa universalizzazione degli ideali e degli interessi. Vi deve essere una tensione: da una parte la libertà personale come matrice di un’autentica cultura e di ogni reale processo di emancipazione sociale, dall’altra, le suggestioni di una socializzazione dell’esperienza compiuta in ogni singola comunità; il tutto in una solidarietà generale, mantenendo tutte le diversità tra le varie comunità.
L’uomo deve trovare in sé i propri principi, l’esercizio dell’autorità si snatura se coarta la coscienza del soggetto per adeguarla ad un piano preordinato.
L’Europa non è un fine in sé, essa è uno dei mezzi suscettibili d’essere utilizzato da questo slancio liberatore. Deve quindi essere edificata per l’uomo libero e responsabile. L’uomo integrale (persona) posto al centro di tale istituzione, sostituirà l’uomo integrato nella massa.
Con i metodi del nuovo sistema l’Europa spezzerà le frontiere divenute anacronistiche, cancellerà gli egoismi degli Stati-nazione, faciliterà l’articolazione spontanea degli interessi, delle energie e delle speranze. Unirà senza unificare, coordinerà senza asservire, rafforzerà la vera indipendenza delle nazioni. Mai sarà un nazionalismo ingrandito, l’Europa unita è risolutamente chiamata ad affermarsi più universalista che mai. Essa costituirà così una tappa verso l’organizzazione, non solamente sovranazionale ma sovracontinentale, del mondo.

Anonimo ha detto...

L’Europa unita deve mostrarsi capace di incarnare in modo nuovo la giustizia sociale e di trionfare sulla prova mondiale di proletarizzazione, oppure avrà tradito la sua missione.
Per raggiungere tale obiettivo bisogna però intraprende una lotta spietata ai conformisti. Vittime incoscienti di una confusione, certi partigiani dell’Europa federata non esitano ad immaginarla sotto le apparenze di uno ‘Stato europeo’. I conformisti sono quelli che hanno fatto perdere all’Europa occasioni preziose, con la loro mancanza d’immaginazione e d’intelligenza. Lasciateci lavorare (borbottano i conformisti); lasciateci compiere le nostre piccole riforme che, esse almeno sono realizzabili; lasciateci costruire un’Europa unita, anche imperfetta. Come se si trattasse di quello! In verità, i conformisti sono in grado di costruire solo delle scenografie in cartapesta, come quelle di cui si attornia l’Unione dell’Europa Occidentale.
Un uomo, centottanta anni fa, aveva predetto l’avvento del regime dei ‘Nyaquas’: era il signor de Tocqueville. Nel suo saggio sulla democrazia americana scrive pressappoco questa frase che il nostro tempo giustifica: ‘Una idea falsa ma semplice ha sempre più chances di sedurre le popolazioni che una idea vera ma complessa.’ Tutto il segreto del loro sorprendente successo sta qui. Il nuovo sistema, idea vera ma complessa, ha perso (per ora) davanti al nazionalismo che è falso, ma che è semplice. Ci sono due famiglie d’uomini: quelli che hanno il rispetto della realtà e della vita, e che accettano, come Proudhon, la sua complessità, la sua elasticità. E poi, ci sono i Nyaquas, che tradiscono senza vergogna il senso profondo di qualche formula cartesiana, cercano di accomodare ogni problema sul letto di Procuste di una ragione divenuta totalitaria.
Da quando si è proclamato che l’Europa, per unirsi, va ad erigersi come Stato, tutto pare divenir semplice e chiaro: il cosiddetto federalismo trionfa sul metodo funzionale, il potere d’arbitraggio è qualificato come politico, lo ‘Stato europeo’ brandisce i fulmini del Giove giacobino, e il politico prima di tutto. Intendiamoci, tutto diventa chiaro, in effetti, se s’identifica politica e arbitraggio. Se ogni arbitrato, segnatamente l’arbitrato supremo, è politico, il problema è veramente risolto prima di essere stato posto. Ma una tale identificazione è legittima?
Bisognerebbe forse considerare con serietà questa Europa che non sia né carne né pesce, della quale si possa tirare a volontà, come un prestigiatore dal suo cappello magico, dei conigli e dei trusts, dei nastrini di seta multicolore e dei principi di supercentralizzazione.


A. M.

Anonimo ha detto...

Di cosa si tratta dunque? Di far fronte vittoriosamente a questa crisi di civiltà che mette in causa ogni nostra ragione d’essere. Parlando ancora dell’Europa, il vero problema nasce laddove nessuna rivoluzione è stata prevista all’orizzonte se non quella di un’integrazione su scala continentale con mezzi dichiarati neutri. Il discorso va però ulteriormente approfondito.
Per capire la posizione dei « neutralisti », bisogna ricorre alla massima: « Il fine giustifica i mezzi ». Tale espressione, non funziona più, e in verità non ha mai funzionato in politica. Per dipanare questa aggrovigliata matassa, bisogna far riferimento ad uno degli apporti più importanti che il nuovo sistema ha dato alla filosofia della politica: “Il fine e i mezzi fanno parte di uno stesso tutto”.
In queste parole è contenuto lo spunto per una teoria: se si riconosce la validità di questa affermazione, allora, si può tentare di affrontare il problema in un altro modo. In una simile prospettiva ben poco spazio è concesso ai metodi riformisti, a meno che non preparino e abbiano come sbocco la rivoluzione. La natura dei metodi impiegati influenzerà necessariamente la natura dell’obiettivo da raggiungere. I mezzi d’edificazione europea che si fa finta di considerare ‘neutri’ determinano e prefigurano lo ‘Stato’ europeo che ci si propone di costruire. Il neutralismo, metafisico, sociale o politico, è menzogna. Al preteso ‘Stato’ europeo, si dovrebbero applicare le constatazioni fatte su scala nazionale: ‘Né socialmente, né nazionalmente esiste moneta neutra, imposta neutra, budget neutro. Lo Stato neutro è una falsa sembianza; uno Stato che elimina ogni ineguaglianza inaridisce le fonti del progresso’(François Perroux, L’Europe sans Rivages, P.U.F., Paris 1954, p 58).
Qualunque Stato di diritto, e più in generale qualsivoglia diritto codificato, sancisce un sistema di valori. Questi valori, prevedono una teoria assunta, vale a dire una Weltanschauung (visione del mondo) che si colloca al di là del diritto: per legiferare e operare lo Stato non può essere totalmente agnostico. Georg Jellinek ha messo in evidenza che, essendo i cittadini i « titolari di diritti », lo Stato è tenuto a convenire che questi diritti sono indipendenti da esso. « Le persone, vuoi individui che gruppi che operano entro uno Stato posseggono diritti loro propri, che non dipendono dalla discrezione dello Stato sovrano e dei suoi agenti, né dalla loro concessione. Posseggono i loro diritti in quanto sono considerati titolari di diritti, in quanto persone e il togliere loro questa capacità si colloca di là del potere effettivo dello Stato »(Georg Jellinek, Allgemeine Staatslhere (ed. III, Berlin 1925), p. 372, tr. it., Dottrina generale dello Stato, Società editrice Libraria, Milano 1921).
Ciò significa che parlare di uno Stato totalmente agnostico o « neutrale » non è altro che un sotterfugio verbale. L’Occidente ha assunto nello Stato i valori del liberalismo illuministico e razionalistico.

Anonimo ha detto...

Si rende necessario spingere l’attacco fino in fondo, confutando la visione parziale e riduttiva del metodo neutro di procedere che fa pensare irresistibilmente a ciò che Péguy diceva del Re-Denaro: ‘Quando non si nomina, si sa che è di lui che si parla. Quando non lo si avverte, si sa che c’è. Quando non si dice nulla, è lui’ ». Ogni commento a queste parole è inadeguato e forse superfluo. La parte più interessante e assurda dell’idea di costruzione europea così come è stata modellata è quella inerente il progetto che prevede prima l’edificazione dell’edificio e solamente in seguito la destinazione: abitazione o piscina, chiesa o stazione, silo o stadio, Banca di Stato o Comunità di vita?
Non c’è, e non ci potrebbe essere un’Europa neutra: pretendere che non si tratti, per cominciare, che di tracciare il quadro, che di ergere il famoso ring europeo, che di stabilire le barriere attorno ad un campo chiuso in cui, più tardi, si svolgeranno i tornei tra liberali, socialisti, democristiani, fascisti e stalinisti – è fare la parte troppo bella alla puerilità dei nostri contemporanei.
Questa situazione poteva essere accettata alla fine del XVIII secolo, ai primordi dell’era "democratica", ma oggi è del tutto inacettabile.
L’Europa che il nuovo sistema esige non è quella dei poteri concentrazionari, ma quella delle "libertà organiche". Ben diversa, se non addirittura opposta, risulta dunque l’idea proposta dal nuovo sistema, il quale vuole sicuramente costruire l’Europa, ma che sia a misura d’uomo. Una tale azione richiede dei mezzi convenienti, nel senso etimologico del termine.
Fatta questa precisazione, occorre riflettere sul come si potrà edificare un edificio solido senza impiegare i materiali scadenti tramandati dalla tradizione. L’uomo deve riscoprire le sue ragioni d’essere riassociando i fatti alle idee che pretendono rifletterli, auspicando l’eliminazione della causa di disgregazione. Si rende neccessario insiste sull’idea che, se l’Europa deve unirsi, essa lo deve fare per favorire una maggiore libertà; nel caso contrario, non ha nessuna ragion d’unirsi. Ciò che qui conta, è che si ribadisca, e questo è un punto fondamentale, che non vi può essere nessuna separazione tra società e istituzione.
Nel nostro tempo all’Europa delle nazioni, delle patrie, delle comuni, degli uomini si sostituisce l’Europa degli stati, anzi del Grande Stato. Perché non chiamarla Stati Uniti d’Europa?
La Comunità Europea così come si va costituendo è una confederazione di stati moribondi, di masse disgregate, di poteri concentrazionari. A tal proposito si auspica la messa da parte dei politici falliti.

A. M.

Anonimo ha detto...

L’attività economica.


L’economia.

Lo Stato moderno, come già segnalato, non solo ha cercato di inglobare la società politica, assorbendo in sé la totalità del corpo politico, ma ha tentato di annettersi anche la società civile intervenendo direttamente nell’economico: capitalismo di Stato o socialismo di Stato.
[N.P.P.] (Due parole sul socialismo... con questo sistema ideologico le cose si chiariscono: la riconciliazione dell’uomo con se stesso, la fine degli antagonismi, l’integrazione di ciascuno nella stessa società totalitaria –no, voglio dire nella stessa totalità sociale– non sono che i segni d’una verità di cui l’economia è la dimora essenziale. Ma non una economia qualsiasi, beninteso: conviene, non dimentichiamolo, abolire la proprietà e collettivizzare i mezzi di produzione. Cosa vuol dire ‘collettivizzare’? Vuol dire renderla statale. È dunque l’economia diretta da questo organismo superiore di carattere politico che è lo Stato-nazione che diventa il luogo di rivelazione essenziale della verità.)

L’ingegnosità degli uomini di Stato si dimostra con l’ideale economico di comprimere le importazioni e sviluppare le esportazioni. Una volta raggiunto questo ideale, ogni stato-nazione, essendo economicamente autosufficiente, annullerà le importazioni e al tempo stesso avrà la possibilità di esportare l’eccedenza economica prodotta. Si profila dunque un chiaro equivoco.
Il dirigismo è un sistema nel quale lo Stato si incarica di organizzare e di reggere l’economia nell’interesse della comunità. Lo Stato, adottando la politica qualificata come dirigista con lo scopo di organizzare e di controllare la distribuzione del potere d’acquisto dall’alto, favorisce, paradossalemente, da una parte il livellamento dal basso, dall’altra parte mostruose ineguaglianze.
Ecco perché si può parlare di un tentativo da parte dello Stato dirigista di asservire le nazioni o comunità, con il suo intento di ridurre le attività economiche allo stato di meccanismo amministrativo. In questo modo, il dirigismo si presenta come una caricatura di quella che dovrebbe essere un’economia ordinata.
I beneficiari del dirigismo, vale a dire i capitalisti, si affermano liberali, esclusivamente quando il loro dominio pare saldamente stabilito. Nel caso contrario, essi si appellano irrevocabilmente al dirigismo.
L’uomo, se veramente vuole essere misura di se stesso e delle cose, deve ricostruire un’economia, non importa su quale scala geografica, purché resti sempre a misura d’uomo. Oggi l’economia si presenta come un mescolanza di capitalismo liberale e di dirigismo. Occorre instaurare un equilibrio tra interesse particolare e interesse generale: questa è la ricetta, questa è la soluzione che il nuovo sistema propone. Contro l’oppressione dei trusts dell’economia, suggerisce la creazione di nuovi organismi economici, di corpi intermediari autonomi, in modo da incoraggiare la libera iniziativa dei singoli individui e dei gruppi organizzati. Per far fronte al disordine economico, si rende dunque necessaria la creazione di una nuova forma di economia più equilibrata, fondata su una reale cooperazione economica. Questa nuova organizzazione economica non assorbirà i vari livelli, come vuole l’economia collettivista, e garantirà la sicurezza vitale, cancellando per sempre la miseria nell’abbondanza, chiaro sintomo di una civiltà in profonda crisi, che subordina i valori umani al potere del denaro.

Anonimo ha detto...

Il proletario nel mondo del lavoro.

Ci fermeremo in questo paragrafo ad illustrare un tema già delieato (anche se in termini diversi) da Simone Weil. Si richiamerà l’attenzione su uno dei punti che appare quanto mai attuale: il rapporto tra la condizione dello schiavo e la condizione del proletario. Innanzitutto non va dimenticata l’ambiguità che il concetto di proletariato porta con sé; per questo motivo occorre evidenziare che ogni ricerca si propone di definire con il massimo di precisione i propri concetti. Però bisogna sottolineare che, per quanto riguarda le scienze sociali, ogni definizione può essere solo provvisoria, poiché la realtà non si lascia ingabbiare.
Si rende necessario chiarire che nelle espressioni che seguono non si troverà il Proletario per eccellenza, ma uomini e donne più o meno proletarizzati. Partiamo dall'analisi etimologica del termine.
Termine d’origine latina, il « proletarius » è colui che non possiede altri beni oltre ai figli da lui concepiti. Tale definizione può essere rapportata al caso del proletario del periodo romano, che non possedeva beni fondiari né un domicilio e patrimoni, ed era considerato unicamente come "produttore di bambini".
Con il marxismo, il termine proletario rappresenta il membro dell’‘ultima classe’ sociale del popolo, che non ha altra ricchezza da trasmettere se non il numero dei suoi bambini, – un individuo condannato a lavorare per non morire di fame e che, pertanto, non può contare su un regolare impiego. Precisiamo: dal primo giorno l’uomo è sopravissuto per merito del lavoro da lui prodotto, ma la condizione propria del proletario è diversa da quella del lavoratore, nella sua accezione neutra, poiché il proletario, lui, non è solamente condannato a guadagnare la sua vita con il sudore della fronte, ma è condannato a guadagnarla in una certa maniera: molto sovente è obbligato a vendere se stesso, a vendersi, o più esattamente (in quanto, altrimenti, non si distinguerebbe dallo schiavo) ad affittarsi. Cos’è che separa il contadino, l’imprenditore o l’artigiano da un proletario se non il fatto che i primi producono e vendono il frutto del loro lavoro mentre il proletario produce, vende o affitta il proprio lavoro, ricevendo in compenso un salario?
Una caratteristica della situazione proletaria, all’interno del mondo del lavoro, è quindi la condizione salariale
[N.P.P.] (È indubbio e palese che si abbia la consapevolezza che il richiamo al termine salario, sia insufficiente per definire una condizione sociale riducendola ad una categoria economica semplice.)

che fa diventare il lavoratore uno « schiavo a tempo » . In un mondo fondato sullo scambio, il lavoro e non il suo prodotto è offerto e richiesto come una merce e, di conseguenza, come ogni merce, il suo prezzo varia secondo le condizioni d’offerta e di domanda. Il prezzo del lavoro può quindi essere fissato da condizioni esterne al lavoro stesso. Ciò fa in modo che in un determinato luogo e in un determinato momento il prezzo del lavoro possa variare indipendentemente dal lavoro stesso, e che lo stesso lavoro in luoghi diversi, possa essere valutato con un prezzo assai diverso.

Anonimo ha detto...

Ora ci soffermeremo sulla considerazione proposta, in termini generali, dal pensiero liberale, in merito al concetto di lavoratore salariato: il salariato non è altro che un uomo dichiarato libero dal diritto, che aliena la sua forza di lavoro, spirituale come corporale, per il servizio di un altro e riceve in cambio una somma di denaro fissato dal mercato.
[N.P.P.] (Riflessione: grazie al mercato il lavoro si vende o si affitta sempre al giusto prezzo. In effetti, se gli operai si mostrano troppo esigenti e pretendono mangiare il caviale ad ogni pasto (cioè vogliono un misero aumento di stipendio), gli imprenditori, vedendo restringersi i loro margini di beneficio, mettono un freno alla produzione: essendo la manodopera meno ricercata il prezzo del lavoro diminuisce, e l’equilibrio si ristabilisce. Al contrario, se l’equilibrio è rotto a spese dell’operaio, è il turno di questi di astenersi e di contribuire così, ritirando le sue offerte di servizi, ad aumentare, di fronte ad una domanda accresciuta, il prezzo del lavoro. Questo schema comporta numerose varianti: ma tutte riproducono lo stesso meccanismo.)

Non ci resta che criticare la pretesa neutralità dei fondamenti liberali rispetto agli interessi economici: questi lavoratori erano così abbrutiti, così incolti, che la meravigliosa armonia del migliore dei mondi liberali non perveniva a turbarli; avevano un così cattivo spirito che la perfezione del meccanismo del mercato non arrivava a trarli della loro colpevole indifferenza; erano a tal punto ingrati che non consacravano apparentemente alcuna riconoscenza alla generosa provvidenza liberale che vegliava su di loro.
Quando il metro del lavoro è il mercato, i calcoli sembrano non tornare, qualcosa sembra sfuggire. Il mercato, così com’è costituito, non è il luogo ove materialmente si garantisce la libertà, ma è il luogo di una nuova forma di asservimento.

A. M.

Anonimo ha detto...

È interessante notare se venditore e acquirente del lavoro abbiano le stesse possibilità. Da una parte il lavoratore salariato, dall’altra l’acquirente del lavoro del lavoratore. Ora, ci si potrebbe rendere conto facilmente che le due condizioni non possono essere situate sullo stesso piano. In realtà, se l’acquirente, per un motivo qualsiasi, decide di astenersi, quindi di non comperare il lavoro, il lavoratore salariato non può permettersi di agire alla stessa maniera, vale a dire di non vendere il suo lavoro, poiché se non lavora può “morire di fame”. L’acquirente, al contrario, rinuncia solamente al profitto desiderato. Così tale situazione spinge il proletario a rinnovare costantemente l’offerta del suo lavoro, e a rinnovarla in condizioni che lo condannano ad una situazione inferiore, questi fattori hanno il carattere di permanenza.
Il problema non deve essere cercato nel giusto compenso, ma nella condizione perpetua di dipendenza, senza alternative, del lavoratore salariato. Questa « malattia sociale » diventa ereditaria: così come un tempo i figli degli schiavi e dei servi erano a loro volta schiavi e servi, alla stessa maniera, oggi, il figlio di un proletario sarà quasi sempre un proletario. Ciò che conta è che la condizione d’asservimento persiste, nonostante sia un dato di fatto che la situazione del lavoratore è tutto sommato migliorata.

Anonimo ha detto...

In una società in cui dominano le organizzazioni di massa, l’uomo viene degradato sistematicamente al rango d’oggetto, e cade in mano a macchinazioni multiple, come la propaganda e la pubblicità. Una delle dimensioni del proletario si manifesta sotto un aspetto di parziale o completa sottomissione alla propaganda: bisogna che la propaganda diventi così naturale come l’aria o il nutrimento. Essa deve procedere il meno possibile per choc, ma piuttosto per inibizioni. L’uomo può allora onestamente dichiarare che non c’è propaganda. È così perché ne è completamente assorbito. Ha aderito così bene che non la realizza (rendersi conto) più… Essa è divenuta lui stesso… la ripetizione indefinita degli stessi legami, degli stessi incatenamenti, delle stesse immagini, degli stessi rumori è sufficiente per questo assorbimento.

Fuori tema: durante l’ultima campagna elettorale ho avuto modo di costatare nuovamente (sono circa venti anni che sento e risento le stesse considerazioni) quanti siano i cittadini che sostengono che “votare è un diritto e un dovere”, “chi non vota non ha il diritto di criticare” e, in ultimo, la considerazione di una (fortunatamente per i ragazzi) ex collega la quale mi ha rimproverato il fatto che non conoscessi l’articolo 48 della Costituzione Italiana (“Il suo esercizio [del voto] è dovere civico”).
A questo punto si può citare un poeta bulgaro (mi sfugge il nome) vissuto all’inizio del Novecento: “Non bisogna parlare con le persone troppo idiote [cioè quelle che sostengono quanto detto sopra] poiché chi ascolta potrebbe non capire la differenza.”

Sempre fuori tema: (sul piano opposto) vorrei complimentarmi con il capogruppo e gli altri componenti della minoranza che, con una serie di discorsi impeccabili, durante il primo consiglio comunale, hanno messo quasi a nudo i miseri “giochi di potere” che si sono manifestati nel periodo pre-elettorale. Il membro più maturo (sul piano anagrafico) si è superato quando ha parlato di “latitudine”.

A. M.

Anonimo ha detto...

La propaganda è uno dei mezzi fondamentali che contribuisce a far perdere all’umanità il senso autentico dell’essere.
Con il sistema economico che si fonda sul capitalismo l’uomo è al servizio dell’economia, la produzione regola il consumo, stimolando continuamente nuovi effimeri bisogni. Nell’ottica del nuovo sistema dovrebbe accadere il contrario: il consumo dovrebbe regolare la produzione, quest’ultima a sua volta dovrebbe essere determinata da un’etica dei bisogni.
Tornando al tema del lavoro salariale, si rende necessario sottolineare l’inaccettabilità della tesi che esso abbia una valenza positiva. L’argomento ruota intorno a un’assunzione fondamentale: se il lavoro non è che una merce, le relazioni che esistono tra il ‘padrone’ e gli operai tendono necessariamente –qualunque sia la loro disposizione di spirito– a sbarazzarsi di ogni altra determinazione diversa da quella del denaro. Si affaccia dunque prepotentemente il primato del denaro, considerato come « idolo » al quale viene immolato l’uomo. In tal modo il ruolo si inverte: invece d’essere il denaro al servizio del lavoro e dell’economia, sono il lavoro e l’economia ad essere al servizio del denaro.

Anonimo ha detto...

Questa eliminazione di fattori ‘non commerciali’ risulta dalla logica stessa del sistema. Un padrone, in quanto individuo, può essere animato da eccellenti intenzioni morali: ma in quanto attore di un dramma la cui unità è definita dalla categoria del salariato, non può sfuggire alla concezione tirannica del lavoro-merce. Il primato del profitto prodotto della fecondità del denaro, che in Tommaso è « usura », in Péguy « aubaine ».
Il regno del denaro da demonizzare sta nella non-proprietà dei mezzi di produzione da parte di chi li utilizza concretamente.
La commercializzazione del lavoro, diventa in questo modo un fattore d’indebolimento e di distruzione dei rapporti umani, trasformandoli in rapporti di puro interesse. La commercializzazione del lavoro trasforma il lavoratore salariato in uno strumento passivo. Quest’ultima condizione si avvicina intimamente a quella dello schiavo. Tuttavia, lo schiavo sapeva di essere nutrito e alloggiato dal suo padrone, di essere anche nel bisogno protetto da lui; non si può dire la stessa cosa per il proletario la cui condizione è permanente, anche ereditaria, ma per niente stabile. Dall’oggi al domani, ci si può sbarazzare di lui, pur essendo condannato ai lavori proletari in perpetuo, non è mai sicuro di poter conservare la sua situazione o di poterne ritrovare un’altra. Tutto questo edificio trova la sua base solida nel diritto. In questo caso, entra in crisi la concezione stessa di diritto: poiché se è vero che « il proletario è uno schiavo, è uno schiavo che non ha stato ».
L’economia fondata sul capitalismo, tra tutte le altre cose, ha prodotto ingiustizia sociale, miseria e insicurezza, instaurando delle modificazioni esistenziali che portano ad una degenerazione della vita quotidiana. Quasi completamente anarchica, l’economia capitalista è una delle cause principali del disordine economico e sociale.

Anonimo ha detto...

Chiediamoci se ci si possa sbarazzare di questo vizio di fondo, per trovare in dettaglio una soluzione. Elenchiamo brevemente i criteri secondo i quali una soluzione di tale problema si può intravedere.
Innanzitutto, disperdendo la proprietà, in maniera da creare un’enorme quantità di imprese artigianali, famigliari, cooperative di vario genere; in secondo luogo disperdendo il potere politico; in ultimo, disperdendo la popolazione la cui centralizzazione può avvenire per un fenomeno autonomo o per conseguenza della concentrazione del potere politico, ma affatto irreversibile.


La proprietà.

Ogni volta che si affronta il problema del rapporto fra individuo e lavoro occorre inevitabilmente porre altresì la questione della proprietà. Proprietà significa ineguaglianza; l’ideale dell’eguaglianza tra gli uomini è pura utopia, vale a dire vuota astrazione dell’intelletto. La proprietà che il sistema capitalista esalta è stato in fatto il suo segreto nemico: non si è forse edificato spossessando milioni d’esseri umani?
Nel nuovo sistema si difenderanno gli interessi della proprietà privata, ponendo una sola condizione: essa non deve diventare uno strumento di potenza e d’oppressione, un mezzo di dominazione, d’espropriazione per la maggior parte degli esseri umani, poiché, allora, citando Proudhon, « la proprietà è un furto ». Non è la ricerca del profitto il cancro del capitalismo, ma l’ardore di conquistare il potere economico con lo scopo di trasformarlo in sopraffazione.
La proprietà si lega ad altre parti dell’esistenza sociale, perciò l’arbitrio nei suoi confronti può dar luogo all’arbitrio sulle persone. Non si tratta dunque di sopprimere la proprietà, ma di ristabilirla, al rovescio e contro ogni capitalismo, umanizzandola, sarebbe a dire di risanarla, di differenziarla e di universalizzarla; in questo modo « la proprietà è la libertà » (Proudhon). La proprietà non deve essere un privilegio, ma è un prolungamento del corpo umano, l’espressione legittima della dominazione dell’uomo sulla materia, del suo bisogno di comunione con il mondo, del suo desiderio d’assicurare e di preservare la sua libertà.

Anonimo ha detto...

La proprietà deve configurarsi come risultato di un’attività creativa e non come fruizione di una rendita parassitaria, facilmente individuabile nell’appropriazione del lavoro altrui e nelle redite degli investimenti speculativi. Bisogna quindi favorire, come già segnalato, l’universalizzazione e la dispersione della proprietà, consentendo l’accesso delle classi lavoratrici a tale diritto. Occorre altresì assegnare il possesso dei mezzi di produzione agli individui o ai gruppi che li impiegano.
È normale che domani, in una società giusta, ciascuno potrà esercitare questo diritto in linea della sua vocazione personale. È quindi improbabile che, finché persisterà il sistema capitalista di organizzazione economica nel modo in cui oggi si presenta, questa « vocazione personale » di ogni uomo non potrà manifestarsi.
Ogni proprietà non sfruttata o sfruttata al detrimento del bene comune può, per decisione di giustizia, essere confiscata e attribuita a nuovi detentori, sotto riserva di giuste indennizzazioni. Prolungamento della persona, la proprietà –dal momento in cui oltrepassa la misura dell’uomo– deve piegarsi alle regole che dettano il bene comune, l’ordine pubblico e le esigenze dell’economia orientata. Così la proprietà cesserà d’essere un mezzo di sfruttamento. Ciò che il nuovo sistema si propone, è dunque, di agevolare i nullatenenti a divenire proprietari; eliminando le rendite e i profitti non legittimati da un servizio reso.


A. M.

Anonimo ha detto...

A questo punto l’indice prevede la sezione due intitolata “Il personalismo come catalizzatore”.
Questa parte è assai difficile, teoricamente sarebbe per i soli “addetti ai lavori”. Si preferisce dunque proporre prima le sezioni tre e quattro e successivamente la sezione due. Vi è però un problema: alcune parti delle sezioni tre e quattro rinviano o vengono rinviate dalla sezione due. Sono ovviamente a disposizione dei lettori se qualcosa non dovesse tornare. Presento solo i titoli di questa sezione:

II PERSONALISMO COME CATALIZZATORE.

Capitolo 1. Presupposti per la realizzazione della persona.

1. Conservazione e trasformazione.
2. Il teorico.
3. Un tentativo di formalizzazione.
4. Il livello [i]: l’intendimento.
5. Il livello [ii]: l’intelligenza.
6. Livello [iii]: la ragione.
7. Il futuro.


Capitolo 2. Il personalismo tra sapere e saggezza.

1. Scienza e filosofia.
2. Questioni ontologiche.
3. Che cos’è la metafisica.
4. La referenza all’Assoluto.
5. La dialettica.
6. Determinismo e personalismo.
7. Il reale e l’ideale.
8. L’oggettivo contro l’oggettuale.
9. I valori e le essenze.
10. Vittoria sul nichilismo.

Capitolo 3. Il divenire tra il tempo e l’eternità.


1. Il presente: un nulla tra due nulla?
2. La presenza di spirito.
3. L’essere in quanto essere deborda il non essere.
4. Il divenire.
5. Individuo e persona.
6. Contro i godenti del nulla.

Capitolo 4. I fondamenti teologici del personalismo.

1. Un Dio senza essere.
2. La scoperta della Persona.
3. Filosofia e teologia.
4. Il dialogo fondamento della dialettica.
5. Trinità e Nuovo Sistema.

Anonimo ha detto...

SEZIONE III

IL NUOVO SISTEMA (NS)

Il NS si erge a dottrina libertaria, liberatrice, capace di aiutarci a conoscere per agire. In sostanza per conquistare la libertà occorre trasformare gli ostacoli in strumenti di liberazione: il NS è questo strumento istituzionale.
Il NS non adotta criteri politici astratti e/o ideologici, ma si rende forte con una fede, un atteggiamento, un metodo. Questo richiamo è fatto valere per riconoscere la fede che il NS ha nei confronti della dignità dell’uomo, delle sue risorse e ancora del suo spirito creatore: atteggiamento ‘dinamogeno’ nei confronti della società in crisi, atteggiamento dialettico nei confronti delle riforme e della rivoluzione.
L’atteggiamento dialettico insito nel NS non deve unificare, bensì unire, rispettando la complessità della vita e dei fatti, la cui semplificazione porta, al contrario, al totalitarismo. Così si esige che l’uomo planetario, cioè cosmico, non venga per abolire le diversità –le vicinanze, le localizzazioni, i comuni, i paesi, le etnie, le razze, i popoli, le patrie, le nazioni– ma per portarle a compimento.
Il NS non è un semplice sistema politico, poiché la politica viene intesa dal NS sicuramente come una sua componente, ma non la più importante: il politico è posto come la categoria suprema di ogni Città, la legittimità dell’identificazione menzionata sarebbe fondata sulla definizione dei termini in presenza. Ma, ancora una volta, ci si può chiedere se una tale maniera di procedere può essere feconda, se essa chiarisce, se essa è conforme ai dati sociologici. In realtà non c’è alcuna ragione perché il politico sia situato di colpo al grado più elevato della scala dei valori. Con il fine di misurare il posto che occupa, bisogna cominciare necessariamente, con il rischio di limitarsi a delle tautologie vuote di senso, per compararlo ad altri termini d’una stessa serie o di più serie. Come esempio di una tale serie, si potrebbe citare: morale-diritto-amministrazione-politica; o ancora: politico-economico-sociale. Chi non vede che la posizione di uno qualsiasi dei termini di queste serie non si determina, in ultima istanza, che in funzione di quella accordata a tutti gli altri?
In un divenire in cui tutti gli aspetti delle attività e delle aspirazioni umane sono inestricabilmente mischiate, non ci potrà essere, in rigore di termini, alcun primato; se bisogna necessariamente sceglierne uno, sarebbe ancora il primato del sociale –quello che il proudhoniano Vermorel esprimeva, maldestramente, scrivendo: ‘le istituzioni sociali devono precedere le istituzioni politiche’– a cui potremmo riconoscere dei titoli seri. Proclamare che il sociale venga prima dell’economico e il politico, non è formularne in termini diversi, il primato dell’uomo in rapporto alle sue incarnazioni e alle sue realizzazioni parziali?

A. M.

Anonimo ha detto...

Si è detto che il NS non è un semplice sistema politico, non si può neppure identificare con interpretazioni frammentarie di tipo territoriale o con un sistema politico confederativo nel quale più Stati si riuniscono conservando la loro autonomia. Il NS non è uno Stato più vasto e potente degli Stati nazionali: è un errore confondere la politica con lo statalismo poiché lo Stato è superato dal politico, e questo accade perché la politica è nata con l’uomo, mentre lo Stato è un’invenzione recente, ed è solo una delle tante manifestazioni che l’attività politica può assumere. La politica, questa famosa politica che ci risuona nelle orecchie, che cos’è se non l’arte di rendere possibile ciò che è necessario?


Capitolo 1. Il NS: destino dell’uomo a-venire.

Il NS e la sua fede.

Come si evince nel neotomismo, l’uomo è al centro della storia. Dobbiamo però preoccuparci sull’assenza dell’uomo dal mondo. Il mondo si rivela oggi senza anima senza carne e senza corpo: mondo di fantasmi, di astrazioni, come la caverna di Platone in cui la realtà non perviene che sotto forme d’ombre senza peso e senza spessore. Questa situazione è sostenuta verbalmente da espressioni che forniscono un alibi per poter camuffare una assenza, quali il cittadino, il proletario, l’uomo delle urne, l’uomo di massa, il consumatore, il produttore, il contribuente,ecc.

Anonimo ha detto...

Al contrario la reale presenza si determina innanzitutto nell’accettazione di ogni dato che determina le nostre esistenze. Ciò significa che ogni tentativo, di stile totalitarista, di ridurre l’uomo ad uno o più aspetti offusca la sua presenza.
Su questo punto, elenchiamo una serie di aspetti che definiscono alcune mutilazioni della presenza dell’uomo nel mondo e nella storia. In realtà, occorre liberarsi definitivamente dalle seguenti espressioni: parlare di spirito puro, o di razza, di misticismo nebbioso o di scientismo terra a terra, di nazionalismo aggressivo o d’internazionalismo, di determinismo che scarta la predestinazione o di una vocazione soprannaturale che falsa le causalità e che, al bisogno, vi sopperisce, credere al deus ex machina o alla macchina senza Dio, credere alla predominanza dei fattori economici o dire ‘Politico prima’, credere anche ad una decentralizzazione che abolirebbe ogni centro, o a una centralizzazione esclusiva di ogni libertà locale.
La prova di una reale presenza si ha quando, creando e manifestando i differenti aspetti della sua personalità, l’uomo riesce a compiersi in ogni luogo cui partecipa.
Innanzitutto va detto che si tratta del luogo di nascita dell’uomo in cui il suolo, qualunque cosa succeda, nasconde, vita natural durante, delle radici a volte invisibili ma che mai si lasciano estirpare. In seconda battuta, l’uomo trova il suo compimento nei suoi luoghi di residenza. I luoghi di lavoro costituiscono il terzo punto che determina la presenza dell’uomo, quando quest’ultimo è però inserito direttamente nei quadri di produzione.
Dunque, l’uomo trova il suo compimento in ogni luogo cui partecipa direttamente e da cui trae le linee che orientano il suo destino. L’uomo si realizza soprattutto attraverso le sue relazioni sociali e in seno alla sua comunità in un rapporto diretto e, indirettamente, negli organismi comuni che legano le varie comunità.

Anonimo ha detto...

Così si può dire che la fede del NS non è altro che Fede nella virtù e Fede nella possibilità di presenza. Uno dei propositi del NS è quello di rendere cosciente tale Fede con un metodo e delle istituzioni.
Riflettiamo sull’insegnamento del liberalismo manchesteriano che ha posto all’alba della modernità il postulato della neutralità: l’insegnamento moderno, fecondato dallo Spirito dei Lumi, deve rispettare tutte le idee, con l’unica condizione di non trasgredire i principi, le regole e le norme della Ragione.
Una volta ammessa questa condizione, conviene, quindi rimanere neutrali in rapporto alla diversità delle opinioni, idee, teorie e dottrine più diverse.
Bisogna opporsi con forza alla Ragione assolutizzata: in apparenza, non vi è nulla di più umanista, più ragionevole di questa concezione. Disgraziatamente essa deriva da una Ragione generata, modellata, forgiata e rimodellata dalla scienza moderna, che – da Bacone, Galileo e Cartesio a Einstein e Hilbert –dirige tutta la sua energia e mobilita tutte le sue forze al fine della conquista delle certezze ultime.
Ciò comporta che la neutralità e la tolleranza che compongono il primo postulato siano sconfessate dal secondo, quello della certezza e dell’esclusione definitiva dell’errore. E ciò accade al momento in cui la Verità assoluta appare all’orizzonte della nostra storia, la Dea Ragione non tarda a divenire un idolo assetato di sacrifici umani. Cammino che conduce dalla monarchia assoluta all’assoluto della Volontà generale, e successivamente, dal giacobinismo al socialismo scientifico. La contraddizione non si risolve.

A. M.

Anonimo ha detto...

Non si è percepito che questo postulato di poca importanza, manipolato da un liberismo sagace, non era altro che un travestimento di un coacervo di avidità, di interesse e di ambizioni? È nota la famosa sentenza: ‘Tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri’. Ispirandosi ad essa, si è tentati di definire l’insegnamento liberale, specialmente quello accademico, con una massima simile: tutti i punti di vista sono legittimi, ma alcuni lo sono meno di altri. Bisogna sapere ciò che si dice.
Il quadro tracciato non lascia dubbi sul fatto che non bisogna credere nella neutralità dell’insegnamento universitario. Ciò che si sconfessa non è la posizione che ogni insegnante assume quando fa il suo lavoro, ma le posizioni di chi non vuole ammettere (ed è il caso dei positivisti) la naturale presa di posizione che è insita in ogni attività umana. Si avverte la netta separazione del concetto di obiettività da quello di neutralità. Ogni insegnante deve essere il più possibile obiettivo senza però occultare la propria opinione che, per forza di cose, deve rimanere dialettica e soprattutto aperta.
Se riflettiamo bene, dal metodo cartesiano sono successivamente nate le facilità semplificatrici del razionalismo. Da Cartesio in poi c’è stata una caduta di potenziale, una perdita di virilità; da quel momento si è creata una sorta di paura, paura davanti alla complessità del mondo e l’infinita varietà dei problemi che bisogna risolvere.
Tutte queste tecniche conservatrici, sia spirituali, sia intellettuali, sia religiose, sia politiche, sia economiche, sia sociali… tutte queste tecniche si rivoltano e finiscono per opprimere quelli che avrebbero dovuto servire; tutto ciò che perverte, imprigiona, sterilizza e alla fine uccide, si fa a colpi di slogans e di fanfare: è lì il vero oppio del popolo.
È stato Cartesio il fondatore del pensiero occidentale che pone la razionalità al centro di tutto. Cartesio, separando la materia dallo spirito, è il teorico, se vogliamo usare i termini cari a Emanuele Severino, della « follia dell’Occidente ». Tale « follia » separa l’inseparabile, cancella la contraddizione che è irrisolvibile, manifestandosi come una terribile volontà di potenza. Così, per dominare la natura con la scienza e la tecnica, il pensiero occidentale, andando alla ricerca dell’immortalità, ha perso l’effettivo senso dell’essere.
La volontà di potenza (che non è altro che esasperato monismo) ha altresì forgiato lo spiritualismo e il materialismo, i quali trovano la loro ragion d’essere nell’incapacità di accogliere la realtà che si presenta ambivalente. In effetti la cultura occidentale si è basata sull’idea di razionalizzare la realtà che è, quest’ultima, di per sé contraddittoria.

Anonimo ha detto...

Il NS e il suo metodo.

Innanzitutto determiniamo il campo di battaglia creato dalle tre crisi preliminari ai tempi moderni che, prolungandosi l’un l’altra, hanno preparato lo stato in cui si trova oggi il mondo.
La filosofia inizia nel momento in cui essa si pone al servizio dell’uomo, tentando con ogni mezzo di liberare l’uomo da tutto ciò che, gravando su di lui, impedisce la piena realizzazione delle sue possibilità più proprie. All’interno di questa caratteristica di ordine generale organizzeremo i contenuti della lotta alle tre crisi. Sullo sfondo, come già segnalato, la prima crisi che si è creata da Cartesio in poi. Fino a lui, verità ed errore, logici o metafisici, trovavano soprattutto le loro sanzioni nello scompiglio che esse apportavano all’interno delle nostre anime e dei nostri destini individuali. Ma non si concepiva ancora che si potessero fare delle rivoluzioni per o contro i ‘principi’ né apprezzare l’ortodossia d’un uomo, a seconda che si dichiarasse o no d’accordo con una filosofia.
In linea di principio si può parlare di seconda crisi quando sopraggiunge Marx: infatti quest’ultimo è l’ideatore della crisi del socialismo. Marx ha il merito di aver prolungato l’innovazione cartesiana: questi, riprendendo la dialettica hegeliana, non scostandosi dall’ambiente razionalista, non poteva non giungere (da un punto di vista metodologico) ad una soluzione governativa centralista.
Il momento fondamentale che ha causato la terza crisi è stato il cambiamento improvviso di metodo attuato da uomini profondamente religiosi: tale crisi è stata designata con il termine « modernismo ». Si veda ad esempio un « modernista » come Loisy, il quale ha ripreso certi procedimenti critici inaugurati da atei, Feuerbach, Strauss, e ancora da Marx.
Queste tre crisi si manifestano con l’introduzione dei seguenti metodi di azione dell’uomo sul mondo: metodo analitico all’origine in Cartesio, metodo dialettico in Marx, metodo critico in Loisy. In tal modo, l’incognita del metodo di conquista del mondo si presenta al centro del dramma dell’umanità.

A. M.

Anonimo ha detto...

Il NS, una nuova ideologia politica?

L’ideologia politica non ha nulla a che fare con il NS. Sulle tracce di Bergson, possiamo rintracciare una distinzione tra sistema chiuso e sistema aperto: il sistema chiuso è quello che tende a richiudersi su se stesso a chiudersi al reale. Bergson considera la società antica come oppressiva, la società antica fa in modo che i suoi componenti si adeguino alle abitudini morali che si suppongono essere il fondamento della società stessa: la società si presenta così statica e chiusa. Con l’avvento della tecnologia su vasta scala, si delinea, con l’ausilio della rivoluzione auspicata dal cristianesimo, la possibilità di fondare una società dinamica e aperta e più democratica, in cui l’oppressione si attenui decisamente.
Se si privilegia la posizione filosofica che fa dell’ideologia la proiezione del sistema nella società, allora: l’ideologia, ogni ideologia opera a partire da uno schema nozionale o concettuale che essa pretende di avere stabilito in una maniera deduttiva o induttiva, poco importa, ma che in ogni caso si propone di imporre al reale; quindi necessariamente il reale deve per amore o per forza entrare “nel letto di Procuste”, e non vi entra mai volentieri. Ciò spiega perché ad esempio Albert Camus, tra gli altri, si sia accorto di quanto una ideologia possa essere oppressiva divorante e inumana. Per ciò che concerne il NS, casomai è vero il contrario: se si conferisce al termine cuore una accezione più vasta ancora di quella del secolo XVII, il NS potrebbe far sua la parola di Pascal: ‘Non [considero questo] [...] come [un] sistema, ma nella maniera in cui il cuore dell’uomo è fatto’.
La distinzione che occorre operare nell’orizzonte dell’ideologia politica tra sistema chiuso e sistema aperto rivela tutta la sua estensione quando si dichiara che l’Ideologia dominante di cui anche i rari iniziati rischiano di dimenticare che avvolge, domina e corona tutte le sotto-ideologie della ‘modernità’, apparentemente –e solo apparentemente– ostili le une alle altre: statonazionalismo, statoliberalismo, statosocialismo, persino statoriformismo, senza dimenticare lo statorazzismo, tutte coronate dallo statototalitarismo. È quest’ultimo che, logicamente, dovrebbe disporre sovranamente dell’arma temibile della possessione collettiva, se la logica regnasse sulla storia: il nostro caso è davvero particolare –la nostra civilizzazione ha raggiunto la fase della regressione, anzi del capitombolo brutale–, e ciò che predomina è il confusionismo più sbrigliato.

Anonimo ha detto...

Si rende necessario mettere bene in evidenza che, in senso generale, l’ideologia politica può essere un sistema di idee privo di contraddizioni, una dottrina insomma. Il dato rilevante è il seguente: se si prende in considerazione l’uso improprio che ad esempio le scienze politiche, la sociologia e soprattutto la filosofia hanno fatto dell’ideologia politica, riducendola ad un forma autogiustificativa, ecco allora che l’ideologia non può non contenere dei valori che rifiutano ogni valore concorrenziale. In questo senso l’ideologia politica vuole giustificare il sistema corrente o il sistema progettato per l’avvenire, ma così facendo si costituisce come un sistema chiuso che non accetta compromessi. Così la realtà viene sistematicamente negata dall’ideologia politica: se la realtà non è confermata dall’ideologia politica è la prima ad essere condannata o liquidata, non la seconda. Nei Cesari, raccontati da Svetonio, l’ideologia è stata assente dalla loro arte di governare. L’assenza di ideologia politica si può notare anche quando si leggono le massime dei re di Francia: la consuetudine e il buon senso erano i loro principi ispiratori e nessun aspetto teorico pareva influenzare il corso degli avvenimenti.
Al giorno d’oggi l’ideologia politica si presenta, come già segnalato, in due forme ben precise: l’autogiustificazione del sistema esistente; la proiezione in un avvenire più o meno lontano di un modello astratto (astruso) che, in quanto tale, è pura utopia. Ciò che giustifica in qualche modo la prima posizione è un forsennato attaccamento all’idea che il mondo d’oggi sia in un certo senso il migliore dei mondi possibili (cioè più sicuro) o semplicemente il migliore che ci sia mai stato o peggio ancora che non ci siano altre alternative percorribili. La seconda posizione trova la sua giustificazione in linea generale nell’insoddisfazione nei confronti del sistema esistente, nella mancata sicurezza che il mondo offre: per ovviare a ciò si attua una sorta di fuga dalla realtà trascinata da un’ideologia politica che in qualche modo permette di eludere psicologicamente l’afflizione per una situazione sfuggita di mano.
Se non può accettare l’Ideologia dominante, lo si deve proprio al fatto che, in tale ambiente, si è smesso di pensare e la confusione ha preso il sopravvento: l’alleanza tra il confusionismo della decadenza e la possessione che pesa sulla collettività rappresenta oggi, per la maggior parte dei paesi occidentali, il più grande pericolo babilonese.


A. M.

Anonimo ha detto...

Le fonti del NS.

Le linee alle quali ci ricolleghiamo per fissare le basi del discorso sul metodo del NS sono quelle di Proudhon e di A. D. [il nome completo verrà fornito in un secondo tempo, per una questione psicologica].
In primo luogo va detto che il contributo offerto da Proudhon riguarda i rapporti tra individuo e società. In Proudhon, l’antinomia tra individuo e società non è risolta da una sintesi superiore o assorbente, ma è mantenuta in un rapporto dialettico senza eliminare né l’individuo né la società. Ciò a cui tende la dialettica proudhoniana è, in definitiva, il bilanciamento. La sintesi assorbente è per Proudhon ciò che distrugge i contrari. Lo scopo di questo discorso è di mettere in rilievo che la dialettica proudhoniana mantiene ferma la presenza degli elementi, stabilendo tra loro una tensione e rispettando i contrari senza subordinarli ed escluderli, poiché agli occhi di Proudhon l’esclusione tende a prendere la parte per il tutto, portando la parte stessa all’assolutizzazione.

A.D. e il metodo del NS.

Per A.D., la funzione dicotomica distingue le parti dell’attività umana che possono essere compiute o facilitate con degli automatismi, delle macchine o dei piani, e quelle in cui le forze di creazione, d’invenzione e di rischio devono svilupparsi liberamente. Proprio la possibilità offerta dal metodo dicotomico di A.D. ci permette di riconoscere i temi della persona in termini di presenza: la presenza è creazione, espansione e conquista, mentre l’automatismo e la routine sono i segni della sua assenza. La dicotomia si sviluppa secondo i seguenti criteri: ad ogni nuova conquista effettuata, corrisponde una organizzazione della zona conquistata (un passaggio dall'assenza alla presenza), che così colonizzata permette di lanciarsi di nuovo verso le avventure e le esplorazioni nuove. Forniamo alcuni esempi: zona conquistata, la macchina e i gesti umani che essa riproduce in serie. Zona conquistata, i meccanismi di Stato, i regolamenti amministrativi e i piani di organizzazione che ne derivano. Questo discorso è dunque finalizzato a mostrare che la dicotomia si esercita tra zone conquistate e zone non sottomesse: è qui che l’uomo in uno spirito di libertà, persegue i suoi vantaggi e continua i suoi sforzi d’assimilazione tramite il gesto muscolare o tramite quello dello spirito e, facendo ciò, l’uomo si espone al rischio e all’avventura.

Anonimo ha detto...

Nel NS permane la separazione tra strumento e spirito, tra la routine e la creazione, tra le necessità collettive e le libertà personali, e nel dominio politico, tra le esigenze subalterne dello Stato, e i bisogni ineluttabili e superiori delle persone, e delle comunità nel seno delle quali essi si compiono. Ciò che è importante sottolineare è che la funzione dicotomica stabilisce una gerarchia, poiché essa afferma che la libertà è superiore ad ogni forma di automatismo; il termine superiore, non ha valenza di ostilità o separazione, poiché la libertà ha bisogno d’una base di tecnica, una base d’organizzazione. Bisogna organizzare la libertà, senza lasciarla soffocare dagli eccessi d’organizzazione.

Il metodo del NS.

L’analisi della dialettica proudhoniana e della dicotomia di A.D. sono il preludio del metodo del NS: il richiamo a questi due autori è fatto valere per riconoscere che il metodo del NS si attua in due tempi.
In questa direzione il proposito del primo tempo consiste nel mantenere dove si impongono (cioè dove nascono) tutti i dati delle nostre vite, individuali o sociali, e, quando esse sono antagonistiche, a preservare la tensione necessaria, al posto di sopprimerla.
La drammaticità del mondo non certo una novità, in quanto l’uomo è scisso da bisogni opposti, materiali e spirituali, collettivi e personali; il voler abolire i conflitti vuol dire distruggere l’essenza stessa dell’uomo. Perciò non si tratta di sopprimere i conflitti, ma l’obiettivo principale consiste nell’equilibrarli e nell’orientarli verso le soluzioni successive che segnano il progresso umano: parole, queste ultime, che sono i capisaldi del metodo del NS.
Il secondo dei due tempi con il quale si esprime il metodo del NS è il seguente: esso ha come scopo di rispondere ai dati pratici del progresso, sarebbe a dire tenere conto della tecnica e tenere conto della libertà; soprattutto di mantenere la gerarchia tra i due, la tecnica o le tecniche che non hanno per scopo se non il facilitare e servire il nostro genio creatore, così come le nostre libertà. Su questa linea è chiaro che il NS deve circoscrivere le proprie istituzioni, da un lato intorno al principio di conservazione di un equilibrio, dall’altro intorno al principio dicotomico e gerarchico. La congiunzione di questi due punti è il fondamento del metodo che il NS adotta.
Bisogna riconoscere in aperto contrasto con il razionalismo, che i meccanismi sopprimono la ragione conquistante dell’uomo: il razionalismo genera la tirannia, i cui mezzi sono questi strumenti, queste macchine, questi sistemi, questi regolamenti e metodi che pesano attualmente con tutto il loro peso sulle forze di libertà, sui fattori spirituali che avevano prima per missione e per ruolo di favorire.
La verità scientifica è verità relativa, che si avvicina alla realtà con approssimazione, come una conoscenza che procede per tentativi ed errori. Karl Popper, tra gli altri, ha reso noto che la scienza diventa delirio della ragione, se vuole cogliere la verità assoluta che niente può smentire.
La realtà si presenta ambigua e dialettica e perciò non è riducibile in termini assoluti: tuttavia, partendo dal relativismo delle teorie che sono portatrici di sentimenti di vita, il NS vuole metterle alla prova verificando immediatamente i loro risultati. Accadrà dunque a volte che la trasformazione ottenuta sarà diversa e addirittura opposta a quella invocata: ciò comporterà un cambiamento parziale o totale delle premesse.

A. M.

Anonimo ha detto...

La dottrina del NS.

Occorre non considerare come assimilato, e a farne dunque un luogo comune, il fatto che a centinaia di milioni d’esseri umani manca lo stretto necessario, che il lavoro non occupa il posto al quale aspira legittimamente, che l’economia è sballottata da sottoconsumo a sovrapproduzione, che dappertutto, l’umanità dell’uomo è minacciata, che il totalitarismo, la massificazione, la proletarizzazione non cessano di segnare punti a loro vantaggio. In fondo ciò accade perché i cervelli funzionano male, perché gli interessi non arrivano a prendere coscienza di loro stessi, perché gli spiriti sono intossicati da delle ideologie che sono state svuotate da ogni sostanza. Dunque è necessario riprendere ad astrarre, a pensare giusto, ad ispirarsi ad una dottrina coerente.
La dottrina del NS può essere considerata come un sistema ma, si badi bene, il sistema del NS è un sistema aperto che però, vuole occupare una posizione inglobante. La si potrebbe definire come una dottrina paradossale poiché si afferma paradossalmente come pensiero e come azione, al tempo stesso. Ciò accade per il fatto che il NS è pensiero, per così dire pensiero totale: questo fa sì che la sua dottrina si riveli capace di promuovere un’azione veramente efficace; e accade ancora perché il NS è azione e, per così dire, azione creatrice, che ridà vita al pensiero. Essa è intenzione, presa di coscienza, reazione, scelta e –nel senso più pieno– atteggiamento: il termine atteggiamento, non si potrà applicare che all’uomo; ogni uomo deve mettere bene in evidenza il suo atteggiamento nei confronti del mondo; atteggiamento nei confronti di se stesso; atteggiamento nei confronti dell’altro; atteggiamento nei confronti del mistero che sono le linee di forza del suo destino. Per questo motivo la dottrina del NS procede partendo dalla meditazione, dalla maturazione e dal compimento del destino dell’uomo.

Anonimo ha detto...

Questa maniera di affrontare il problema è in un certo senso arbitraria, però questa parte d’arbitrio resta irriducibile. È in forza della novità che si tende ad oscillare inevitabilmente tra due attrazioni: o la si oppone a tutto ciò che c’è stato in precedenza, con il pericolo di renderla indecifrabile, oscura e impenetrabile; oppure per renderla praticabile la si unisce a ciò che è consueto e noto, con il pericolo di renderla però banale. Oppure, c’è ancora una terza opportunità: quella di volere edificare un sistema che non ha bisogno di essere illuminato né per riavvicinamenti né per opposizioni, semplicemente perché si chiude su se stesso.
Possiamo fornire un esempio di quest'ultimo ‘stato spirituale’ con le parole di Sartre : "la Ragione dialettica, se deve essere la razionalità, deve fornire la ragione delle sue proprie ragioni". Riappare qui un tema già trattato, quello del "serpente che si morde la coda" [A DIRE IL VERO QUESTA PARTE E’ COMPRESA NELLA SEZIONE II CHE HO DECISO DI PUBBLICARE SUCCESSIVAMENTE]: si può comunque intravvedere la via d’uscita, sulle orme di Piaget, nel metodo che si imparenta al movimento a spirale, in quanto ripassa costantemente per gli stessi punti, ma sforzandosi di approfondirli progressivamente.


A. M.

Anonimo ha detto...

Il NS e l’umanesimo.

ll fondamentale errore concettuale compiuto da molte forme di umanesimo, si può riassumere con una frase: il sacrificio da parte dell’essere umano di una parte del suo essere a ciò che, propriamente parlando, costituisce la sua umanità.
Il NS propone qualcosa di diverso: così come lo spirito non sopprime affatto la natura, ma la trasfigura, la persona non nega l’individuo, ma lo compie, così come l’umanità dell’uomo non abolisce l’animale in noi, ma lo sublima e l’esalta. Pretendere il contrario, è voler mutilare l’uomo. Quest’ultimo atteggiamento era già ben presente in Aristotele, quando ha messo in chiaro che ‘non bisogna ascoltare quelli che, poiché siamo degli uomini, ci consigliano di tener conto solo della nostra umanità (Aristotele dice: le cose umane)… Ciò che ci vuole, è vivere secondo ciò che c’è di meglio in noi.’ (Sottinteso: e non di sacrificare una parte del nostro essere). Un altro tranello in cui molti sono caduti: « Il termine umanità non designa solamente, ‘ciò che entra nella definizione dell’uomo’ (così come lo formula San Tommaso d’Aquino), ma in altri sensi ancora, tra i quali quello dell’insieme degli uomini».
Alcuni hanno trasformato questo insieme in un tutto, per farne un essere collettivo, in qualche modo superiore all’uomo, sovrapersonale. Del resto, questa posizione era condivisa in parte dal pensiero liberale degli esordi ed esplode con i giacobini, sotto la forma del ‘culto dell’Essere supremo’, instaurato da Maximilien de Robespierre; che si diffonde in seguito con il trucco di Feuerbach, ancora di più nella Weltanschauung messianica di Marx e, soprattutto, di Engels; che prende forma particolarmente caricaturale con Auguste Comte e il preteso positivismo. In questo contesto che per trovare la fonte di questa grande corrente ideologica –in quanto si tratta di una ideologia, camuffata o proclamata, dell’Ideologia dominante dei tempi moderni–, bisognerebbe risalire, con quel grande scopritore che si chiama Henri de Lubac, fino al movimento millenarista, e pure al di là, fino a Gioacchino da Fiore.
Si rende necessario sottolineare che già Proudhon aveva accusato Comte, quando quest’ultimo ha tentato di meccanizzare l’umanità, disconoscendo ‘l’autonomia della persona umana’ con la sua ‘religione dell’Umanità’. Pretendendo divinizzare l’Umanità con la u maiuscola, erigerlo a Grande Essere Umanitario, Comte immola in effetti l’uomo sull’altare di un nuovo idolo.

Anonimo ha detto...

Questi passi di Proudhon aprono orizzonti nuovi, il termine umanesimo assume così un senso del tutto particolare: non è più la falsa trascendenza del ‘trans-personale’ – che non è che un sinistro camuffamento dell’immanenza assolutizzata, ma si identifica con quel carattere umano dell’uomo che si compie nel doppio movimento di trans-discendenza e di trans-ascendenza. Il termine umanità (al minuscolo) assume un senso del tutto particolare, poiché con esso si intende proprio quella prospettiva autentica della personalizzazione dell’individuo ominidiano, che non diventa ciò che è se non rifacendosi alla pesantezza delle cose, che non si realizza se non superandosi. È con la trascendenza della persona, una e multipla –e dunque dall’unione delle persone– che si compie in verità la ‘natura’ umana: nella sofferenza e nella gioia, nel tragico e nel profetico, nella negazione di tutto e l’ultimo ricorso al Tutto. Ciò che caratterizza l’umanesimo del NS, è che esso fa dell’essere umano nello stesso tempo il punto di partenza, il cammino da seguire e il fine da realizzare. Tendenzialmente le precedenti filosofie interpretavano ed esprimevano l’uomo in termini improntati sul mondo delle cose, mentre il NS si sforza di comprendere il mondo –‘nel mondo dell’uomo tutto è umano’, non dimentichiamolo– in termini informati (nel senso filosofico, ben inteso) dall’uomo.

A. M.

Anonimo ha detto...

Capitolo 2. Il buon governo.

Il potere e la libertà.

Tutta la storia dell’umanità è modulata da una tensione dialettica (o metalettica) tra due principi: il potere e la libertà. Possiamo con questi termini indicare fondamentalmente il punto di partenza della ricerca del buon governo. Il combattimento per la libertà, che è sinonimo di NS e di rivoluzione, deve eliminare, oggi più che mai, ogni potere oppressivo. Il NS non vuole eliminare il potere (non c’è mai stato, non c’è, non ci sarà mai una società senza potere al singolare come al plurale), come vogliono gli anarchici, bensì distribuirlo.
Oggi l’impostazione teorica e le strutture organizzative dello Stato nazionale centralista paiono vacillare: in poche parole tale Stato non si adegua più, o forse non si è mai adeguato, alle esigenze della società civile. In generale, la centralizzazione che ha caratterizzato la storia dello Stato dal Rinascimento alla Rivoluzione francese con l’assolutismo e successivamente con il liberalismo, sembra destinata ad essere sostituita da un’altra attività politica: il NS.
L’idea del NS potrebbe essere riassunta in questa maniera: è di tipo organico, piuttosto che razionalistico e dialettico piuttosto che logico. Essa sfugge alle categorie del razionalismo volgare, ma corrisponde molto bene alle forme di pensiero introdotte dalla scienza relativista. Il movimento intimo del pensiero del NS non potrebbe essere meglio paragonato che ad un ritmo, ad una respirazione, all’alternanza perpetua della diastole e della sistole.
Il NS non può nascere che dalla rinuncia ad ogni spirito di sistema. Si potrebbe definire l’atteggiamento del NS come un rifiuto a ricorrere a soluzioni sistematiche. C’è totalitarismo in ogni sistema quantitativo; c’è il NS ovunque domina la qualità. Non ci sono, nel mondo del XXI secolo, che due atteggiamenti umani possibili. Non sono quelli della destra o della sinistra, divenute quasi indiscernibili. Oggi c’è il totalitarismo, o c’è il NS. Tertium non datur.

Anonimo ha detto...

I NS propone una ricostruzione della società che faccia della libertà il principio stesso di ogni organizzazione. In altre parole, il NS è dunque quello strumento che tende a soddisfare i criteri di un’organizzazione della società bene ordinata che ha come fondamento la libertà.

I principi del NS.

In generale la filosofia politica si pone come suo compito essenziale la giustificazione del buon ordine politico, vale a dire di un ordine tale che faccia del mondo un luogo che sia la massima espressione di vivibilità.
Su questo piano, proponiamo i principi fondamentali del NS.
Il primo principio del NS è quello dell’autonomia: ispirandosi al rispetto della persona, questo principio preserva i diritti inalienabili di ogni collettività. Il NS colloca i poteri di autodisposizione, di auto-organizzazione, di autogestione di ogni collettività al centro del suo interesse: l’autonomia consente a molteplici decisioni di essere prese al livello più prossimo all’uomo, favorendo in questa maniera la trasparenza di ogni decisione e una reale partecipazione e responsabilizzazione degli interessati.
Il secondo principio del NS è quello della cooperazione: conviene permettere agli interessati di raggrupparsi spontaneamente per risolvere in comune i loro problemi comuni. In sostanza, il NS nel campo politico, sociale ed economico fa della libera associazione e della cooperazione contrattuale un principio generale: con quest’ultimo il NS intende riavvicinare le collettività che sono oggi aspramente concorrenti e conflittuali, mantenendo al tempo stesso l’autonomia delle stesse collettività; il conflitto non viene sospeso, ma semplicemente attenuato da rapporti d’associazione, contrattuali o mutualistici.
Il terzo principio del NS è quello di sussidiarietà e di esatta adeguazione. Il principio di esatta adeguazione permette alle istanze più vicine ‘alla base’, sarebbe a dire dell’uomo, di possedere delle competenze di cui esse non possono essere private a profitto delle istanze dette, a torto, superiori, fino a che esse adempiono efficacemente il loro compito. È da notare che il NS considera questo principio come il principio ‘organizzativo’ per eccellenza. L’esatta adeguazione è il principio che permette alle collettività di risolvere le questioni che le riguardano direttamente: con un’adeguazione dei poteri politici, economici, sociali e culturali si risolvono così i problemi reali che sorgono. Alle collettività il NS consegna i poteri giuridici e l’aiuto materiale atti allo svolgimento delle mansioni che gravano su di esse. In tal modo, il potere del NS, che è un potere sussidiario, interviene esclusivamente quando i cosiddetti ‘livelli inferiori’, cioè le comunità di base, non hanno le capacità di risolvere i propri problemi.
Con i principi di sussidiarietà e di esatta adeguazione l’organizzazione della società sarà più trasparente, efficiente e soprattutto più democratica.

Anonimo ha detto...

Con il termine di partecipazione si indica quarto principio del NS: ciò che il NS si propone è di accrescere e generalizzare la partecipazione, promovendola e incoraggiandola in ogni organizzazione e in ogni istituzione. In fondo, questo quarto principio è il coronamento e la « sin-tesi » dei tre principi citati poc’anzi.
La partecipazione può trovare un buon terreno di espressione nelle varie organizzazioni:
a) Il gruppo organizzato, rappresenta l’elemento più circoscritto (in termini numerici) d’azione e si contraddistingue per una solida coesione nei confronti di determinati valori che ispireranno i programmi di attività dello stesso.
b) Un’altra forma di organizzazione è il comitato d’azione. Esso raccoglie istanze particolari con lo scopo di portarle a compimento. Una volta raggiunto lo scopo il comitato d’azione può anche sciogliersi.
c) Il comitato d’azione coordinato si ricollega al comitato d’azione semplice in quanto a scopo, ma, a differenza di quest’ultimo (che coinvolge solo individui singoli), esso raggruppa anche i soggetti collettivi, vale a dire gruppi autonomi che si distinguono per una marcata identità.
d) L’associazione si distingue dalle altre forme organizzative d’azione per un’organizzazione istituzionale più macchinosa, caratterizzata da comitati direttivi, sottocomitati e assemblee.
e) La cooperativa è un’organizzazione d’azione che trova il suo fondamento nel mercato solidale. Le cooperative possono essere di produzione e di consumo, sociali, ecc.
f) La « comune » è una forma di organizzazione che si orienta e agisce in funzione della solidarietà generale.


A. M.

Anonimo ha detto...

[In questo lavoro che sto proponendo il lettore troverà alcune parole divise da un trattino, ad esempio: sin-tesi, ana-logia. Questa divisione rimanda alla valenza positiva che si attribuisce al significato della parola.]

Tra « an-archia » e socialismo libertario.

IL NS implica una forte componente an-archica. Nondimeno, non si potrebbe in alcun modo ridurlo all’anarchia. Un’altra componente gioca un ruolo molto importante, che si può disegnare con il termine di socialismo. Per il NS è fondamentale il dialogo tra an-archia e socialismo. In queste parole è implicita la nozione di “syntelia”; proponiamo un esempio elettrico: nel campo dell’elettricità, la “syntelia” è la resistenza che si pone tra i due poli della pila affinché quest’ultima dia i suoi frutti. I due poli rappresentano in questo caso le posizioni limite dell’anarchismo e del socialismo. Così, se il NS fa uso dei seguenti principi regolatori: [i] autonomia, [ii] cooperazione conflittuale, [iii] esatta adeguazione, [iv] partecipazione, che nell’insieme rappresentano, appunto, la 'syntelia', l’anarchismo è incline a mettere l’accento sui due primi principi, e il socialismo (in quanto opposto all’‘anarchia’), sugli altri due.
Quanto al potere, l’anarchismo inclina verso la negazione pura e semplice del potere stesso: si vede dunque nell’anarchismo dissolvente il risultato dell’annientamento del governo, della competenza e del comando. L’anarchia del XIX° secolo, è da una parte la negazione dello Stato, considerato come rappresentante di ogni autorità centrale, che essa sia legittima oppure no; che essa si manifesti o no secondo delle funzioni necessarie e naturali – è d’altra parte la sostituzione allo Stato e ad ogni potere centrale d’organismi locali o professionali, di comuni, di cellule o sindacati d’impresa, che sarebbe sufficiente lasciar proliferare, moltiplicarsi indipendentemente gli uni dagli altri e indipendentemente dal centro perché la libertà sia assicurata e la felicità garantita. L’anarchismo procede così da una doppia semplificazione e da un doppio partito preso: prima, tutto quello che è al centro è cattivo e deve essere eliminato. Inseguito: tutto ciò che è alla base è buono ed è sufficiente a se stesso. Così per rispondere al sistema dittatoriale, lo spirito anarchico si chiude pure esso in un quadro sistematico.

Anonimo ha detto...

Il NS, al contrario dell’anarchismo riconosce la necessità simultanea degli organismi centrali e delle comunità di base. Ammette il ruolo necessario dello Stato, come l’esecutore di certe funzioni amministrative e tecniche del paese. Ma, nella gerarchia sociale, lo subordina alle iniziative delle comunità locali e professionali, o degli organismi politici ed economici, che sono emanate da queste comunità.
Prendendo in considerazione il socialismo in quanto autocrazia, e se per socialismo si intende ciò che permette la soppressione della proprietà privata, limitata anche ai mezzi di produzione, ecco, tale socialismo costituisce già un inizio di tradimento del socialismo in quanto tale, la sua autonegazione: esso cerca di premunirsi, con una ‘sopracompensazione’ cratica, contro l’autodistruzione. L’autocratismo si rivela come il tradimento intrinseco, perpetrato dall’origine dalle rivoluzioni mancate nei confronti del socialismo.
Ogni studio sociale deve iniziare da uno studio approfondito della comunicazione. Comunicazione e comunismo hanno la stessa, hanno una comune etimologia originale; ogni studio sociale deve procedere dalla comunicazione, ogni studio sociale tende al comunismo; il comunismo essendo come un maximum, un optimum di comunicazione sociale. Chi non si rende conto che fare della comunicazione ‘il luogo essenziale di una società, quello della verità’, è scegliere un socialismo radicalmente differente da quello la cui natura è determinata, meglio sovradeterminata dalla statonazionalizzazione dell’economia?
Partendo dal reale, il socialismo non potrebbe, senza contraddirsi, essere elevato –o più esattamente riabbassato– al rango d’una ‘entità’, d’un concetto ‘puro’. Con tutta l’energia necessaria, con tutta la violenza salvifica, conviene denunciare, una volta per tutte, l’impresa, essenzialmente antiscientifica, che consiste nell’innalzare, sempre e ovunque, un’impalcatura di concetti puri, concetto del patriottismo in sé, concetto del nazionalismo in sé, concetto dell’internazionalismo in sé, concetto del socialismo in sé, concetto del collettivismo in sé, concetto della classe operaia in sé. Non è che con un confronto incessante tra l’intendimento e i fatti ‘bruti’, tra l’intelligenza e i concetti, tra la ragione e l’esperienza, tra il pensiero e l’azione, che si perviene a liberarsi dalle entità, degli stati, per accedere all’essere. In altri termini, il socialismo, se è vita, comunicazione, conversione, non potrebbe in alcuna maniera ripiegarsi su se stesso e diventare dogma, monismo, sistema chiuso. Proposizione che rischia di essere approvata senza difficoltà, a fior di labbra un po’ da tutti, ma che, se è presa sul serio, si rileva carica di conseguenze, poiché essa apre una prospettiva liberatrice da cui si autoescludono le penose trasformazioni del preteso socialismo di ieri e di oggi.

Anonimo ha detto...

Se il socialismo autocratico vuole essere il “regno della libertà”, non esita a rinviare tale ideale in un tempo a venire; intanto, non esita, in realtà, a ricorrere a tutti i mezzi di coercizione di cui afferma che non mancheranno d’essere aboliti al di là, cioè in futuro. Aspettando che sia istaurato il paradiso terrestre, il ‘socialismo’ ha favorito lo sviluppo dei mostri statali che l’oggettività obbliga a situare in una posizione favorevole, molto probabilmente in testa, sulla lista dei fenomeni più mostruosi e più retrogradi di tutta la storia dell’umanità. Questa posizione, fa dello Stato l’organizzazione più burocratica di tutti i continenti, e senza dubbio, di tutti i tempi.
Il marxismo ha intravisto la falsa possibilità di ridurre il mondo ad una battaglia tra classe oppressa e classe dominante, ritenendo che, risolta tale battaglia, la storia non potrà non coincidere con la liberazione definitiva. Ma la liberazione definitiva coincide con la fine della storia, ed è proprio questo scenario che il NS, al contrario del socialismo autocratico, non vuole e non può far proprio; esso propone semplicemente di protrarre il conflitto sociale tra libertà e illibertà. La liberazione raggiunta sarà sempre relativa, essendo la realtà dialettica: l’irriducibilità della contraddizione porta il NS a considerare il pluralismo politico come il suo stesso fondamento e, se portato alla massima tensione, come presupposto del progresso.
È da notare che si può fornire una trattazione in chiave an-archica del NS riprendendo il suo primo principio: l’autonomia. L’autonomia del NS fondamento stesso della società, moltiplica le autonomie, suscita e sviluppa anzitutto ciò che esse implicano: autoaffermazione, autodefinizione, autodeterminazione, autogestione; poiché sostituisce, dove ciò è possibile, la subordinazione con la libera cooperazione. È altrettanto interessante sottolineare come il NS non si limiti al principio an-archico, ma che lo estenda su un piano socialista, con la precisa intenzione di sopprimere la condizione proletaria. Ma per portare a compimento tale soppressione occorre abolire lo stato di salariato e il lavoro indifferenziato; garantire a tutti e a ciascuno, non solamente il minimo vitale ma anche l’optimum sociale; eliminare le rendite di disposizione e tutti i guadagni parassitari; distruggere il capitalismo (privato o di Stato) fino alle fondamenta; mettere l’economia, al servizio dell’uomo; edificare un nuovo ordine sociale.
In definitiva, ciò che il NS si propone è prendere quella che ritiene la parte positiva dell’anarchia e del socialismo, vale a dire quella loro parte che lotta contro l’alienazione, e lotta per la liberazione dell’individuo e delle collettività, portandola a compimento nel NS.

Anonimo ha detto...

Autorità e potere.

È noto che i rapporti tra autorità e potere sono al centro dell’interesse della filosofia politica. Spogliata da ogni potere ‘temporale’, se si può dire immanente, l’autorità, ritrova l’ardente purezza della sua natura spirituale. In breve, l’autorità se riportata allo spirito non appare affatto come il polo opposto alla libertà, ma già come un inizio di sin-tesi tra la libertà e il potere. Si tratta in particolare di riavvicinare le espressioni quali avere autorità e essere autore per cominciare a vederci chiaro.
In questo contesto per il NS l’unica autorità accettabile è quella che garantisce e che genera la/e libertà. Se il potere si stabilisce nell’immanenza, l’autorità non può che trascendere il potere stesso, poiché è l’autorità a generare il potere: non c’è autorità se non rivoluzionaria. Quando l’autorità non è più nell’autorità stabilita, vale a dire nel potere, è nella Rivoluzione.


L’autorità contro il potere.

Il concetto di sovranità è stato forgiato dai legislatori, per i bisogni della causa (della causa della monarchia assoluta, s’intende); il concetto di sovranità procede, a partire da presupposti teologici, da una ana-logia indebitamente invertita. La sua introduzione e le sue prime utilizzazioni, più abili che pertinenti, segnano simbolicamente l’origine già lontana, e lungamente ignorata o sconosciuta, di questa crisi di civilizzazione.
Il NS ha un’esigenza ben precisa: se vuole essere il 'regno' del diritto, la sovranità del diritto pretende la soppressione della sovranità dello stato.
Tornando all’aspetto autoritario del socialismo, si può affermare che l’autorità socialista è falsamente motivata, confusamente formulata, male orientata, e in tal modo non può che far capo che a delle conclusioni ingannevoli: essa rende come noto difficile, impossibile, l’indispensabile controllo del potere da parte dell’autorità, sola garanzia efficace della libertà di cui vale la pena di parlare. Il NS denuncia i socialisti (o pretesi tali), che hanno la tendenza a ricusare in nome della democrazia sociale, della dittatura del proletariato, o della futura società senza classi, ogni controllo ‘estrinseco’, ‘esogeno’ del potere popolare, id est, al limite, del potere ‘di tutto il popolo’.

Anonimo ha detto...

Per quanto concerne l’anarchismo, il NS mette in guardia contro l’errore tipico di questo, cioè l’abolizione del potere: l’anarchismo procedendo con una sorta di escamotage, rende ancora più minaccioso il problema del rapporto tra autorità e potere. Gli anarchici dovrebbero ritornare a Péguy del De l’anarchisme politique per dare un centro all’argomento sull’autorità: per Péguy, infatti, occorre distinguere « l’autorità del comandamento dall’autorità di competenza » .
Péguy dicendo ciò, osserva che quest’ultima non può pretendere di sostituirsi completamente a quella, e illustra questa tesi con un esempio: ‘Si educano dei bambini, gli si vuol far credere, ciò che è difficile e menzognero, che non si è i più forti. Si fa appello solo alla ragione, li si tratta come delle persone pure. Ad un certo punto questo non funziona. In quel momento, la sanzione riappare…’ ». Gli usi comuni della forza e della ragione, anche quando è la vera ragione, sono molto più pericolosi per la ragione e per la libertà delle autorità del comando che sostengono essere nettamente delle autorità di comando.
Rifiutando ogni concezione monista, immanentista, monolitica, votata al primato esclusivo dell’omogeneo, il NS non può che rifiutare ciò che i portatori del socialismo 'faraonico' e dell’anarchismo dissolvente proclamano.
Accantonate queste posizioni, il NS mette a fuoco la sua soluzione: il NS restaura l’autorità nella sua responsabilità e nella sua intransigenza prime, con il fine di permetterle di incarnarsi in questa istituzione sopra-istituzionale che si chiama Consiglio supremo. Emanazione della comunità rivoluzionaria, questo veglia sulla protezione e sullo sviluppo dei diritti e delle libertà. Il Consiglio supremo diventa un simbolo che rappresenta la fonte e il coronamento, lo sviluppo e l’espansione della rivoluzione permanente. Proprio la possibilità offerta dalla rivoluzione permanente, che è al tempo stesso normativa e normatrice, rappresenta la conferma che appare come una garanzia supplementare del mantenimento della tensione feconda tra i poli che il NS ha qualificato come il faccia-a-faccia, anarchico e socialista.
In conclusione il NS è un socialismo libertario e un'an-archia positiva, vale a dire una sin-tesi o com-posizione dell’ordine socialista e della libertà anarchica.
Nella dottrina del NS, sono esplicitamente rifiutate le conclusioni che, appoggiandosi al fatto che il NS è una vera sin-tesi del socialismo e dell’anarchia, facciano dello stesso l’arma autosufficiente per accogliere la sfida che la storia lancia: tutto dipenderà dalla capacità del NS di promuovere la rivoluzione necessaria, con lo scopo di mettere fine al regno dispotico dello statoplutocrazia e di edificare, sopra le sue rovine, un ordine nuovo, più libero, più giusto, più umano.
In definitiva, il NS procede ad una squalifica del socialismo autocratico, il quale non ha suscitato che rivoluzioni mancate, e ad una squalifica dell’anarchismo, il quale è all’altezza di organizzare solo rivoluzioni che, in verità, non sono altro che rivolte destinate a fallire. Facendo tesoro di questa consapevolezza, il NS fallirà quando non sarà in grado di proporre una rivoluzione efficiente e permanente.


A. M

Anonimo ha detto...

Abbozzo istituzionale.


Prima di esporre questo abbozzo istituzionale si rende necessario segnalare l’evidente carattere schematico di questo, ma si spera che esso possa in qualche modo costituire almeno uno schema dinamico.

La « comune » e l’atelier.

Ci soffermeremo sul discorso della dinamica della fondazione istituzionale del NS che pone la Comune al centro del suo interesse, seppur non in termini di esclusività. Con il termine comunalismo ci si riferisce alla Comune intesa non come l’ultimo anello della catena dell’amministrazione centralizzata, ma al contrario intesa come il fondamento incrollabile di ogni vita in società. Solo in seno alla comune liberata può stabilirsi un equilibrio vivente, almeno relativo, tra gli interessi e le passioni – stabilirsi, non in virtù della tutela burocratica, ma in favore d’una compensazione ‘naturale’ tra le forze centrifughe e centripete, tre le inimicizie e le intimità, tra le abitudini e le innovazioni. La Comune affrancata si presenta come un’istituzione che non si lega in nessun modo alla forma caricaturale della comune asservita nelle sue forme odierne. La Comune è un organo di autogoverno: se la parola democrazia ha ancora un senso, è in questo auto-governo che conviene cercarne le fondamenta. Sentiamo le parole di Karl Jaspers: “ …Una amministrazione comunale autonoma e responsabile è necessaria alla creazione di una morale democratica. Solo la pratica di ogni giorno, esercitata direttamente e in proporzioni ridotte, dà ai cittadini la loro maturità per le realizzazioni più vaste su campi più estesi.”
Occorre mettere in discussione la nota tesi secondo la quale i cosiddetti livelli inferiori, nei quali si fa rientrare il frammento amministrativo e territoriale che oggi chiamiamo il Comune, debbano servire i livelli superiori: tale dinamica deve essere rovesciata, abbattendo senza sconti la falsa piramide gerarchica delle democrazie cesaristiche. Riguardo a queste ultime, si rende necessario superare l’erronea concezione che identifica « Stato » e « Giustizia »: così nel NS, quando si dice « Giustizia », si allude esclusivamente al diritto che si compie, in stretta alleanza con la libertà, in una quantità notevole di gruppi considerati come ‘fonti del diritto’ nella misura stessa in cui rappresentano l’espressione del compimento ‘naturale’ della persona umana. È ovvio quindi che ponendo l’accento sui gruppi, si voglia evidenziare il pluralismo giuridico, che è la forma più perfetta di Giustizia, contro ogni tentativo che riconduce al monismo totalitario. Tali gruppi non hanno come prerogativa l’assorbimento dell’uomo (poiché, il termine assorbimento vuol dire essenzialmente dissolvimento della personalità dell’uomo) ma, al contrario, si propongono di favorire il compimento della personalità dei propri componenti.

Anonimo ha detto...

Ciò spiega perché il NS sostenga l’idea che l’uomo ha il diritto di fare ciò che gli conviene personalmente, e non di compiere la sua parte dell’opera che comandano gli interessi della comunità. A tal proposito, si può notare che una tale condotta espone l’uomo al pericolo d’impoverimento, di conformismo e di riduzione al più grande comune denominatore. L’errore è quello di mettere da parte lo slancio rivoluzionario (che fa parte della condizione umana) in favore di una pericolosa quiete d’un ‘provincialismo’ un po’ stretto, appesantito d’illusioni e di rimpianti, di moralismo e di ipocrisia, di desideri respinti e di ‘buona coscienza’.
La liberazione integrale dell’uomo può avvenire solo ed esclusivamente con una rivoluzione totale; solo quest’ultima impedisce alla Comune di diventare una nuova forma di mistificazione. Sul piano della rivoluzione, bisogna ricordare che la rivoluzione comunale è inseparabile dalla rivoluzione del lavoro.
Se il lavoro è inteso come ricreazione simile ad un gioco (in cui la costrizione e la dipendenza non esistono più ed ognuno è libero di scegliere quello più adatto alle sue caratteristiche ed aspirazioni, in cui la macchina cancella ogni forma di lavoro pesante, in cui l’abbondanza del suo prodotto soddisfa tutti i bisogni senza limitazioni né controlli), allora esso perde ogni carattere di servitù e d’alienazione, restituendo all’uomo la sua integrità, e assume un ruolo sempre più incisivo nelle integrazioni e negli sviluppi della vita sociale.
Ora, per arrivare a tanto, occorre liberare l’atelier da giogo del Re-Denaro, sostituendo gli attuali monopoli con forme associative o contratti particolari: occorre quindi avvicendare il contratto d’« affitto » (Simone Weil) con un contratto associativo di lavoro. L’Atelier liberato non comprerà e non venderà il lavoro dei suoi membri, venderà il prodotto del loro lavoro. Proprio per raggiungere gli obiettivi che il NS si propone, occorre attuare una radicale trasformazione del carattere stesso della proprietà: l’alienazione dal lavoro può essere sconfitta riaffidando al lavoratore ciò che gli è stato abusivamente sottratto, sarebbe a dire l’iniziativa, la competenza e la responsabilità. L’agente si ritrova così libero di scegliere il metodo, la materia, lo strumento e le condizioni materiali di esecuzione dei compiti, utilizzando al meglio le tecniche innovative proposte dalla tecnologia.

Anonimo ha detto...

La produzione in serie e la meccanizzazione del lavoro potranno continuare solo se saranno messe al servizio dell’umanità, al contrario di quanto accade oggi, in cui è l’uomo che serve la macchina. Seguendo le parole di Kierkegaard, bisogna rendere alla macchina ciò che gli appartiene di diritto, vale a dire l’automatismo, che ferisce la libertà e l’autonomia del lavoratore.
La macchina, indispensabile per moltiplicare gli sforzi di produzione dell’uomo, sarà un anacronismo fino a che non si saranno inventate le istituzioni necessarie perché la maledizione non pesi più sulla maggior parte degli operai che la servono.
Se si vuole affrancare le comunità dette ‘naturali’, che si chiamano famiglie, comuni, paesi, regioni, patrie o federazioni sopranazionali, non bisogna abbandonare i gruppi detti ‘volontari’ che competono all’atelier, all’impresa, al settore della produzione, alla professione o agli scambi internazionali al potere occulto de Re-Denaro.
La libera associazione dei lavoratori è alla base dell’impresa: in questo modo risuona l’argomento sull’organizzazione del lavoro di stampo NS. In breve, le persone libere e responsabili si associano al fine di fornire alla società, al miglior prezzo, un prodotto o un servizio di qualità, e ancora, di assicurare a tutti i membri una remunerazione corrispondente alla loro partecipazione e al compito comune. Si tratta in particolare di organizzare l’impresa in squadre e ateliers autonomi, basati su rapporti d’associazione e di direzione a carattere mutualistico. Tale forma di organizzazione (con la cessazione del vincolo salariale) porta all’effettiva emancipazione dei lavoratori e alla possibilità da parte di questi ultimi di avere accesso a tutte le forme di responsabilità.
Lo Stato centralista, il regime plutocratico e il capitalismo fanno parte di un unico fronte e vanno combattuti senza ritegno. La libertà comunale si può ottenere esclusivamente mettendo da parte il capitalismo, il che vuol dire liberare l’atelier. Secondo la rappresentazione del NS è necessario ricercare un equilibrio tra risorse e bisogni, riassegnando quindi i poteri indebitamente concentrati nelle mani delle oligarchie statali ai corpi sociali autonomi, ivi compresi i poteri economici.
Il NS è favorevole ad una socializzazione delle fabbriche su base locale: si mira con questa precisa distinzione a colpire il pensiero socialista, che opta storicamente per una socializzazione della proprietà su base statale. Su questo ultimo aspetto il NS muove dall’osservazione che la centralizzazione del potere politico ed economico scatena una bagarre per la conquista del potere stesso.

A. M.

Anonimo ha detto...

Unità del mercato e del piano.

Nel primo manifesto del movimento personalista si legge: « Spirituale, prima; economico, inseguito; politico, al loro servizio ». È chiaro dunque per il personalismo che la « infrastruttura » economica non determina (in termini di esclusività) gli altri aspetti delle realtà dell’uomo, come dichiara il marxismo (chiamandola quindi struttura). Il politico e l’economico devono trovare la loro fonte e il loro compimento nel sociale.
Il NS sul piano economico si pone in modi del tutto diversi da quelli del liberalismo anarchico e del dispotismo pianificatore. Il NS, diversamente da questi due orientamenti, introduce il principio di partecipazione diretta alla gestione e al beneficio. In primo luogo va detto che l’economia del NS ha come obiettivo la « democratizzazione » della stessa, e come presupposto a ciò si pone la prerogativa di rispettare la libera iniziativa degli individui e dei gruppi. Così l’economia di stampo NS si ordina ai diversi livelli per mezzo di consigli economici e sociali in cui sono rappresentati i lavoratori di tutte le categorie e i consumatori. La pianificazione del NS è ciò che nasce da una libera cooperazione contrattuale tra gruppi professionali autonomi e associazioni autonome di consumatori, e da una libera cooperazione contrattuale tra le Comuni.
Il fondamentale strumento che il NS indica per raggiungere un equilibrio economico consiste nella distinzione dell’economia in due zone: la zona A e la zona B. La prima, definita come il campo d’azione economica che si occupa dei beni e dei servizi di base, cioè dei bisogni primari per la vita, è quella in cui la pianificazione è obbligatoria ed ha dunque un carattere imperativo, per quanto si fondi, come già segnalato, su contratti cooperativi liberamente assunti.
La zona B è definita come il campo d’azione economica che si occupa dei « desideri », cioè dei beni e dei servizi non fondamentali, vale a dire i beni di lusso. La pianificazione è in questa zona essenzialmente indicativa, e, in quanto tale, questa zona è libera. Nella zona B la pianificazione orienta il mercato per raggiungere l’optimum sociale.

Anonimo ha detto...

La pianificazione non può che essere globale ma, si badi bene, essa non può essere vista come un fattore negativo per l’economia, poiché tale pianificazione è piuttosto imperativa nella zona A e piuttosto indicativa nella zona B. In questo modo tra le due zone vi è una distinzione che non è fissa, poiché esse non sono « isolate »: ciò che le tiene in contatto è il libero mercato. Questa dualità permette di conciliare i vantaggi della concorrenza, quelli della previsione a lungo o medio termine, e quello dell’orientamento razionale dell’economia –, e di coniugare le fortune d’una espansione massimale e quelle di una grande stabilità. Queste due zone si differenziano nel modo particolare di applicare una legge generale: ciò vuol dire che non c’è una differenza sostanziale. Nel NS non troviamo dunque l’idea di due economie separate: è chiaro che l’economia non può che essere considerata nel suo insieme come unita, ma non unificata; la via da seguire è quella della dialettica tra le due zone. Per questo motivo la dialettica economica, che ha nella cooperazione conflittuale la sua ragion d’essere, è chiamata a dare il fondamento all’intera economia. Non c’è subordinazione e sacrificio di una zona rispetto all’altra: la dialettica tra le due zone ha cura delle loro originalità; essa tende a favorire lo sviluppo della loro capacità di arricchirsi delle loro differenze. Si comprende dunque, a livello generale, che la concezione economica del NS non riconosce l’omogeneità dell’economia. Il NS non può accettare il monismo economico, al contrario dei due « fratelli nemici » (liberalismo e marxismo), lo si deve proprio al fatto che il monismo ha portato alla rovina economica dei nostri tempi.

A. M.

Anonimo ha detto...

I bisogni pur essendo fluttuanti e evolutivi, sono piuttosto stabili e statici , mentre i desideri sono evolutivi, dinamici e imprevedibili. Non bisogna dimenticare che anche spontaneamente e nel disordine, l’economia tende a polarizzarsi: da un lato, la sicurezza, dall’altro, l’avventura; il consolidamento dell’acquisto, da una parte, dall’altra, la scoperta, l’esplorazione e la conquista del futuro. Il NS reclama la creazione di Camere economiche sociali che abbiano la possibilità di esercitare un potere legislativo reale nelle loro rispettive sfere. Queste Camere economiche sociali hanno il compito di elaborare ed eseguire il piano, ma perché ciò possa accadere la decentralizzazione del potere legislativo deve essere massimale e, partendo dalla Camera economica sociale della Comune, elevarsi eventualmente alla Camera economica sociale regionale e, in certi casi, alla Camera economica sociale continentale. Il piano può essere liberamente elaborato e dibattuto in un dialogo vivente tra il vertice e la base della società nel NS. Per risolvere i suoi problemi, la base (quindi i consumatori stessi), tramite organismi locali e regionali fa presente i suoi bisogni fondamentali che vengono accolti e coordinati dal vertice, il quale assume la responsabilità d’una vera prospettica, sarebbe a dire di una politica d’insieme. Ciò che è rilevante in questa spiegazione è che essa fa dipendere dalla base la pianificazione globale senza mettere in pericolo la sua efficacia, in quanto possibilità di far conoscere i propri bisogni e di fare valere le sue vedute senza alienare la sua autonomia. Ciò vuol dire mettere da parte gli stato-tecno-burocrati che fino ad oggi hanno ricoperto questo ruolo.
In definitiva, l’esecuzione del Piano è anche controllato democraticamente dal basso e tecnicamente dall’alto. Per ciò che concerne la pianificazione è utile precisare che non avrà niente in comune con l’economia, burocratica e poliziesca, di sperpero, di caserma e di guerra, che ha letteralmente devastato e completamente rovinato tutti i paesi dell’Est.
Senza un libero mercato non è possibile soddisfare i bisogni fondamentali di ogni cittadino. Nessuna meraviglia pertanto che il NS concepisca una pianificazione libertaria che escluda ogni forma di oppressione amministrativa e poliziesca: per attuarla occorre inglobare lo scambio e il pro-getto, sarebbe a dire, potenzialmente, il mercato e il piano. Non è che qui il NS voglia proporre una conciliazione tra i due, anzi, ciò che vuole fare è aprire prospettive nuove segnalando che non ci potrebbe essere un mercato libero senza piano né pianificazione senza una economia di mercato.
Ciò a cui il NS allude è certamente un mercato che deve essere accessibile a tutti consumatori e produttori, non solamente teoricamente ma realmente. Il NS vuole far leva su questo principio inviolabile: il mercato deve essere per forza di cose fortemente sgrossato e strutturato, in maniera da poter ridurre al minimo le ‘disfunzioni’ dovute in particolar modo alle pressioni, invenzioni, eccessi e abusi dei poteri statali ed economici; un nuovo ordine economico può portare alla disalienazione, liberazione e compimento dell’essere umano.

A. M.

Anonimo ha detto...

Il Minimo Sociale Garantito.

Il cosiddetto reddito di cittadinanza o Minimo Sociale Garantito o ancora « basic incombe » è quell’aspetto che sancisce una vera e propria rivoluzione sociale ed economica. D’altra parte il NS vede nel Minimo Sociale Garantito ciò che deve ricoprire i bisogni fondamentali o vitali dell’individuo, cioè mangiare, coprirsi, alloggiarsi, senza perdere di vista sanità e cultura.
L’uomo per poter sopravvivere è stato sempre vincolato direttamente al lavoro; semplificando, se non lavora muore di fame. Ma, su questo piano, il Minimo Sociale Garantito è una vera e propria rivoluzione poiché, svincolando l’uomo dal lavoro, contribuisce ad una efficace deproletarizzazione del lavoratore.
Elenchiamo dettagliatamente ciò che questa rendita sociale comporterebbe in una sua effettiva attuazione. Così formuliamo le seguenti ipotesi:
Sul piano socio-psicologico:
a) la soppressione delle metamorfosi moderne della schiavitù, del salariato e della proletarizzazione generalizzata;
b) la trasformazione della disoccupazione in tempo libero, persino in tempo creatore;
c) la disalienazione dell’uomo, mettendo fine al regno del bisogno, del lavoro in briciole, indifferenziato, dequalificato, disumanizzato.

Sul piano culturale:
a) aprirebbe ampiamente, davanti a tutti gli esseri umani, le vie d’accesso all’informazione, alla formazione, alla cultura;
b) favorirebbe così l’ascensione di nuove élites, provenienti da tutti i gruppi sociali, senza eccezione.

Sul piano politico:
a) ci si sbarazzerebbe della ‘democrazia reale’, le cui insufficienze, debolezze, vizi e degenerazioni minacciano di fare il regno della demagogia televisiva;
b) si eleverebbe l’edificio d’una autentica demarchia in cui, sostituendo le menzogne del passato, trionferebbe la partecipazione, principio supremo d’una città libera.

Sul piano economico:
le conseguenze economiche dell’introduzione del M.S.G. avrebbero un’importanza notevole tanto che esse porterebbero a degli effetti deflazionistici.

Anonimo ha detto...

Con il M.S.G. l’uomo non è più obbligato a sottostare a ciò che il mercato del lavoro offre se, appunto, non vuole morire di fame, ma può liberamente occuparsi del lavoro che è più affine alla sua inclinazione. Questa è una vera democratizzazione dell’economia, che consente tra l’altro al potere d’acquisto dei consumatori di non diminuire in relazione alla crescente automatizzazione.
Nel caso del Minimo Sociale Garantito, come d’altronde nel caso già esaminato della liberazione dell’atelier, tale innovazione non può avvenire se non con un cambiamento totale delle strutture relative all’economia.
Qui si affaccia il problema, che è facilmente superabile, del finanziamento del Minimo Sociale Garantito: in verità, il finanziamento iniziale esiste già, almeno in tutti i paesi detti avanzati. In tali paesi esistono delle istituzioni d’assicurazione sociale: sicurezza sociale stricto sensu, assegni familiari, assegni di disoccupazione, reddito minimo d’inserimento o prestito d’onore, aiuto ai diversamente abili, alla terza età, ai combattenti, ecc.
Il M.S.G. non è chiamato a completare la Sicurezza sociale, ma a sostituirla (è necessario aggiungere che non si può trattare che di una sostituzione progressiva, rispettando fino in fondo tutti i diritti acquisiti, nel senso più inglobante di questa espressione).
Occorre ricordare i costi eccessivi delle burocrazie di oggi che costituiscono la loro ragion d’essere intrinseca a sviluppare meno velocemente il loro rendimento che il loro costo. Ciò spiega perché tale sicurezza sociale si riduce praticamente ad un ruolo d’‘assistenza’, con tutto ciò che questo termine comporta di commutazioni umilianti. Inoltre, i miliardi diffusi dalla Sicurezza sociale adempiono, certo, una funzione economica notevole, ma non possono pretendere di giocare un ruolo di regolatore dell’economia, nel suo insieme. Il Minimo Sociale Garantito costituisce il volante di stabilità e il motore dell’economia di domani, poiché organizza « umanamente » l’economia.

A. M.

Anonimo ha detto...

Il credito.

Se si prende in considerazione la tesi secondo la quale il credito ricopre un ruolo fondamentale nella nostra economia, allora il NS è favorevole ad un credito che si adatti alle strutture decentralizzate e deconcentrate della nuova società. Nella nuova società, il credito personalizzato (che in Italia si chiama prestito d’onore) a corto termine ha la funzione di equilibrare la produzione, il consumo e gli scambi, mentre a lungo termine ha la funzione di orientare –in conformità con il Piano– i grandi lavori, l’ordinamento del territorio, l’espansione regionale, l’urbanesimo, gli investimenti sociali. Quando si parla di organizzazione del credito secondo i criteri del NS, si intende sottolineare che tale credito permette di sfuggire al ciclo infernale d’inflazione e di recessione e, in più (e non è una cosa da poco) permette di umanizzare il credito che è oggi centralizzato, anonimo, disumanizzato, e sfugge ad ogni controllo umano e in ogni misura oggettiva, al punto di costituire un pericolo mondiale, come un carico slegato su un battello alla deriva. Le forme di credito odierne sono per il NS il simbolo di una massificazione dilagante: il NS denuncia l’inautenticità del credito anonimo, delle società anonime e delle politiche contemporanee; tutto ciò suscita, per reazione, i funesti eccessi del ‘culto della personalità’. La cultura e i mezzi di comunicazione di massa, così come oggi si presentano, sono altrettanti tratti caratteristici d’una civiltà in crisi.

Anonimo ha detto...

C’è qualcuno che è in grado di calcolare il debito privato e pubblico? Il debito sarà difficilmente rimborsabile, ecco perché l’insieme del mondo si trova in stato di fallimento. Nell’economia pianificata (ma, precisiamo, fondata sul mercato libero), da un lato il credito deve essere centralizzato (Minimo Sociale Garantito) e dall’altro la centralizzazione deve essere controbilanciata attraverso dei modi di formazione e di appropriamento del credito che non siano centralizzati, che permettano, appunto, ad ogni cittadino di avere accesso, in quanto produttore, al mercato libero. La città deve essere ri-umanizzata: con questa affermazione il NS riprende quello che esso stesso designa come il comando assoluto della rivoluzione. Ed anche in questo caso è molto significativo l’esempio che presenta: « Il sabbat è fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabbat ». Questo esempio trasposto sul piano economico vuol dire che il credito deve essere messo al servizio di colui che lo genera, dell’uomo libero e responsabile – e in occorrenza, dell’uomo più prossimo alla fonte da cui il credito particolare procede.



A. M.

Anonimo ha detto...

La macchina cibernetica.

La macchina automatizzata nell’assumere come ruolo essenziale quello della sostituzione dell’opera umana ove possibile, crea disoccupazione o liberazione?
L’uomo ha utilizzato prima l’utensile per sfruttare al meglio le sue forze muscolari, poi la macchina e recentemente il robot. Quanto al robot, esso sostituisce a tutti gli effetti l’uomo. Nel NS il robot deve sostituire l’uomo ove sia possibile all’interno dell’apparato di produzione: ciò da un sapore del tutto particolare all’impostazione della produzione proposta dal NS. Questa impostazione teorica potrebbe essere accolta da molti come un sintomo di chiara irresponsabilità nei confronti della disoccupazione crescente ma, questi confondono la robotizzazione con la disoccupazione. La disoccupazione ha una ragion d’essere solo perché esiste la condizione salariale: non c’erano degli uomini senza lavoro all’epoca neolitica, od anche –in una maniera più sfumata– nell’antichità e nel medio evo. Oggi ancora, un contadino che, in certi paesi, smette di lavorare –o quasi– per dei mesi, non sarà trattato come un disoccupato. Dunque per il NS, se si elimina la condizione salariale, si elimina la disoccupazione.

Anonimo ha detto...

La disoccupazione non è una fatalità: è una specificità del salariato. E questo costituisce uno dei principali tratti distintivi del regime capitalista, questa crisi non è congiunturale ma strutturale. Così stando le cose, il NS ritiene dunque che il robot può e deve liberare l’uomo dal lavoro penoso; e può altresì garantire la produzione del minimo sociale che assicura all’uomo una esistenza modesta ma decente. L’uomo liberato dal lavoro penoso può dunque dedicarsi a tutte le altre forme d’attività, disinteressate o ‘redditizie’, ma che implicano sempre vocazione, competenza, impegno umano e responsabilità personale. D’altra parte il NS vede nella macchina automatizzata uno strumento che sostituendo l’uomo nei lavori ripetitivi porta ad una vera liberazione. Ovviamente oggi, l’Ideologia dominante è di tutt’altro avviso; pochi sanno che la maggior parte dei problemi non appaiono insolubili se non perché sono mal posti. Il fenomeno che nel disordine stabilito, sia all’Est come all’Ovest, si chiama, con un’angoscia legittima, disoccupazione, si rivela da allora come sinonimo di LIBERAZIONE.

A. M. / A. M.

Anonimo ha detto...

In linea di principio si può parlare di liberazione a condizione che non si perda di vista che tale liberazione può avvenire esclusivamente se inserita nel quadro di un ordine nuovo, politico, sociale ed economico, ma anche culturale, intellettuale e spirituale. Si ritiene dunque che il Minimo Sociale Garantito, il credito individualizzato e la robotizzazione siano il filo conduttore che solleva l’uomo dall’oppressione del lavoro degradante: il lavoratore inserito nel nuovo ordine sociale potrà dedicarsi ad un lavoro libero e creativo, in conformità con la sua propria vocazione. Il NS intravede il nesso tra la soppressione dello stato salariale e il funzionamento regolare dell’economia; la via seguita si incentra sulla possibilità offerta dal Minimo Sociale Garantito di diffondere il potere d’acquisto. Oggi infatti la macchina, sostituendo sempre più il lavoratore, abbassa il suo potere d’acquisto e lo abbasserà sempre di più. Su questo piano non va dimenticato che il lavoratore è e sarà per forza di cose sempre un consumatore: questo fattore porterà a scompensi sempre più grandi, fino al punto da divenire insuperabile per l’economia generale. Nel NS il corpo sociale si assumerà il compito di sopperire il lavoro non assorbito dalla meccanizzazione e le attività lavorative più ingrate potranno essere svolte da un’istituzione: il servizio civile obbligatorio. Mantenendo fermo questo quadro di raffronto ci si potrà avviare verso una completa liberazione dell’uomo.

Anonimo ha detto...

Il progresso sociale.

Non c’è dubbio che l’economia del NS sia animata da un intento di impronta sociale; in tale ambito si può sostenere la tesi che l’effettivo progresso sociale si avrà quando:
a) si assicurerà a tutti gli uomini la soddisfazione dei loro bisogni fondamentali.
b) sarà ridotta al suo minimo incompressibile la parte di bisogno indifferenziato che esige l’organizzazione del lavoro.
c) l’assunzione di questa parte residua, non sarà più assunta da una sola categoria sociale praticamente ridotta alla schiavitù, ma dal corpo sociale tutt’intero, per esempio sotto forma di un servizio civile.
d) i lavoratori potranno associarsi a tutti i livelli, alle iniziative, responsabilità e risultati della vita economica, che si tratti dell’industria, dell’agricoltura o del settore terziario.
e) si organizzerà la distribuzione e il consumo in maniera da soddisfare, nello stesso tempo sia le leggi d’efficacia economica, le esigenze della dignità umana, lottando contro gli eccessi della concorrenza, della pubblicità, della produttività cieca, dell’economia dello sperpero e della tecnocrazia, statale o privata.
f) si creeranno delle istituzioni, universitarie, economiche, sociali, che permetteranno ad ognuno di rispondere il meglio possibile alla propria vocazione, e a tutti di elevarsi nella scala umana, di partecipare effettivamente alla gestione della società e di assicurare con la ‘promozione’ e con la mobilità sociale, il rinnovo democratico dei quadri.

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